giovedì 16 maggio 2013

Jurassic Park


Ci sono angoli del mondo che sono unici. Il Kimberley è uno di quelli. Terra ancora considerata “aborigena” con i suoi fiumi e le sue rocce sacre, oggi come oggi è sempre più meta dei veicoli fuoristrada delle migliaia di turisti che percorrono il Gibb River da Debry a Kunnunara, all’estremità del deserto dove le piene della Wet season ricordano ogni anno l’antico oceano che milioni e milioni di anni fa copriva tutta questa terra.
Bungle Bungle allora era sotto il mare, traccia di una antica barriera corallina che oggi per l’erosione del vento e del tempo  appare solo un decimo della sua originale grandezza, ma tanto basta per impressionare.
Lasciando la strada principale a un centinaio di chilometri da Halls Creek, dopo aver percorso circa un’ora e mezza abbondante di fuoristrada, un massiccio roccioso imponente, il cui rosso violento contrasta con l’azzurro pastello del cielo, spunta come dal nulla nella distesa del parco nazionale di Purnululu.
A nord le pareti compatte si aprono come fessure in un sipario in piccole gole dove le palme dai busti sottili si arrampicano fino a crescere in posti impossibili per gravità e per disponibilità di spazio. Questi sentieri che si fanno largo a fatica tra le rocce sono luoghi che conservano ancora la loro sacralità per le tribù aborigene locali: infondo a Mini-Palm, per esempio, una piccola grotta si incunea nella dura roccia, a forma palesemente di organo sessaule femminile. Lì le donne aborigene andavano a partorire e non è difficile ipotizzare che la misticità del luogo nasca appunto dalla particolare forma della roccia, per la quale, su un piano simbolico, il bambino non nasce dal ventre della donna, ma dalla Madre terra.
Il lato sud, invece, è totalmente diverso ed è chiamato “l’alveare” per tutte quelle piccole cupole incasellate una vicina all’altra, scultura e architettura, come al solito, difficilmente raggiungibile da mano umana. Lì ha lasciato le sue magnifiche tracce nella roccia e nel suo letto Piccaninny creek, un fiume che ancora oggi scorre durante la stagione delle piogge, asciugandosi rapidamente non appena il sole di fine Aprile appare alto nel cielo.
Bungle Bungle è lo spettacolo artistico del fenomeno naturale dell’erosione, niente di più: dall’anfiteatro naturale di Cathedral Gorge, dove a Luglio si tiene anche un concerto di Digeridoo, alle finestre naturali nella roccia da cui si può ammirare lo spettacolo della valle, dalle onde di rocce che compongono il letto del fiume, alle tracce delle cascate, entrambi immobili nel tempo, aspettando di prendere vita al ritorno della pioggia.

Laggiù ci sono arrivato con una organizzazione di volontariato ecologico, Conservation Volunteers, che organizzava un progetto di dieci giorni (4 di viaggio e 6 di lavoro effettivo nel parco, tanto ci si mette con il pulmino 4x4 a percorrere i quasi 800 chilometri di distanza da Broome) nel parco nazionale in aiuto dei Rangers locali.
A questo viaggio però, stranamente secondo l’organizzazione, avevano aderito solo 4 persone su 13 posti disponibili: Erin, la capogruppo dell’associazione, Tom, un atletico e incredibilmente volenteroso vecchietto di 72 anni alla sua terza avventura a Purnululu, e Philipp, un diciottenne tedesco appassionato di hiking e futuro veterinario, in Australia per il proprio gap year.
A noi si è aggiunto Steve, il ranger locale, con il suo passo azzoppato e il suo umorismo, in lunghissime passeggiate per tutti i sentieri del parco, aperti e non aperti ancora al pubblico, per un lavoro di vitale importanza: cambiare il colore dei cartelli e delle frecce che indicano i tracciati!
Tutto il mondo infondo è paese e così il dipartimento per la salvaguardia dei parchi nazionali del Western Australia pur non avendo fondi illimitati ha deciso di spendere un milioncino di dollari o qualcosa di più per cambiare tutta la segnaletica nei parchi da bianco su sfondo arancione a bianco su sfondo nero, obbligando anche a riverniciare tutti i pali, paletti e cartelli dal vivace arancione al triste grigio.

Un problema abbastanza serio, invece, riguarda la fauna locale. L’importazione di piante e animali in Australia sta causando diversi problemi ai fragili ecosistemi e alle fragile colture soprattutto di stati come il Western Australia. Ma nonostante i vari controlli e i vari sforzi che si producono nel cercare di mantenere organismi non indigeni lontano dai confini dello Stato ci sono piccole cose terribilmente pericolose che sfuggono al controllo.
E’ il caso delle Cane todds, rospi bruttissimi importati dal Sud America verso il Queensland e che ora a poco a poco, balzellando qua a là, stanno divampando in tutto il continente.
Il problema di questi esseri abbastanza bruttini è la loro ghiandola velenosa sulla schiena, alla base del collo, che costituisce la loro difesa verso i predatori, o meglio la loro “vendetta”: una volta ingurgitati, infatti, il veleno comincia a fare effetto fino a uccidere la vittima-carnefice.
Questo è davvero un problema per serpenti e uccelli abituati a fare scorpacciate di rospi e ranocchi.
Per ora non ci sono rimedi efficaci, in quanto l’uso di veleni chimici ucciderebbe anche l’innocente flora locale, rischiando di inquinare anche il suolo, e così ogni turista è chiamato ad una “caccia al rospetto”, senza alcun premio se non un po’ di divertimento.
Il visitor centre fornisce delle pratiche buste di plastica con tanto di guanti e vademecum su come riconoscere gli invasori alieni. Le todds catturate vengono poi messe in un piccolo frigorifero dove dolcemente si addormentano per poi non risvegliarsi mai più in una tranquilla eutanasia.
E così tutte felici e contente restano le ranocchie verdi, che vivono nella pozza d’acqua del water, spaventando chiunque si sia alzato nel bisogno nel buio della notte e le mucche scappate dalle farm circostanti che pascolano allegramente in libertà, fino a che i rangers, non convenendo ai farmer di venire a riprenderle, le uccidono per il barbeque settimanale.
Il modo particolare in cui gli aborigeni conservano ancora oggi la carne è molto tradizionale. Ucciso e scuoiato l’animale, la carne non viene messa in frigorifero, ma viene appesa durante la notte, quando le mosche sono a dormire, e con l’umidità si crea una crosta sottile. Grazie a questa, che la ripara dagli attacchi degli insetti, la carcassa viene lasciata appesa per tutto il giorno successivo ed è pronta per essere cucinata.
Non lasciando il tempo ai nervi per rilassarsi, il beef di Bungle Bungle resta così duro e difficile da masticare, e richiede una cottura veloce, al sangue, oltre che una mascella preparata, ma mantiene un sapore tutto suo.
E così dopo 7 mesi da Coonabarabran, eccomi attorno ad un altro bellissimo falò, sotto la scia della via lattea, con una bistecca-chewingum e un altro posto incantato da portarmi nel cuore. E domani si parte per il viaggio lungo la West Coast!

mercoledì 15 maggio 2013

La Broome del capo ha un buco nella gomma


Quasi all’estremità della costa occidentale dell’immensa Australia c’è una piccola penisola che è circondata dalle onde azzurrissime di un mare che nasconde una preziosa ricchezza. Broome fino a qualche anno fa era una delle capitali mondiali dell’industria delle perle. Oggi in città sono rimaste solo due grandi farms. Un’altra è a qualche centinaio di chilometri a nord, nello sperduto Cape Laveque, altre ancora si sono spostate verso Darwin.
Nonostante questo Broome continua, in “inverno”, a moltiplicare la sua popolazione di quasi 1/3 richiamando un gran numero di turisti e di backpackers che trovano abbastanza facilmente e con ottimi salari un impiego nel settore dell’hospitality, nei negozi o nei supermercati che necessitano di manodopera aggiuntiva per la stagione secca da Aprile-Maggio fino ad Ottobre.
Io potevo essere uno di questi se ormai non mi restassero meno di 3 mesi di visto e se i miei piani per il momento non fossero stati quelli di viaggiare un po’. Infatti mai lavoro fu trovato più rapidamente e in modo più fortunato.
Premetto che quando dico che è facile per un backpacker trovare lavoro non intendo assolutamente dire che a tutti è capitata una chance simile alla mia, infatti molti aspettano anche due settimane prima di trovarne uno. Comunque questa è la storia.
Arrivato in città alle 6 del mattino dopo le mie 37 ore di pullman ho trovato alloggio con i miei due compagni di disavventura, una ragazza giapponese e un ragazzo tedesco, al KK Hostel, non molto lontano dal centro città che, incredibile, ma vero, è Chinatown.
Saki, la ragazza giapponese, era venuta a Broome solo per vedere lo spettacolo della luna di perla che sorge dal mare. Quella Domenica di fine Aprile era l’ultimo giorno del primo ciclo lunare dell’anno in cui si poteva osservare questo particolare fenomeno, che insieme al magico tramonto in cammello di Cable Beach, costituisce la principale attrazione della cittadina. Io non ero assolutamente a conoscenza di entrambi e ho potuto godermeli per una pura coincidenza.
Come Steven, l’altro ragazzo tedesco, arrivavo a Broome con la speranza di trovare un lavoro nel pearling, guidato dalle notizie in internet e dai passaparola, alla ricerca di un facile e ben pagato impiego. Invece oggi giorno essere assunti in una compagnia non è assolutamente facile e richiede molta pazienza e anche un pizzico di fortuna, soprattutto perché praticamente tutti vengono qui con la stessa aspettativa e lo stesso obbiettivo.
Erano circa le 4 del pomeriggio e ci stavamo incamminando verso la fermata dell’autobus per prendere l’autobus per Cable Beach dove il famoso tramonto ci aspettava per le 5 e poco più del pomeriggio. Ero tornato un attimo a prendere la macchina fotografica in camera, quando passando di fianco alla reception, proprio in quel preciso istante, una voce al microfono ha detto: “chiunque voglia un lavoro per la prossima settimana si cercano tre ragazzi alla reception”.  Tutto ciò che ho dovuto fare è girare di 90 gradi i miei piedi e alzare la mano. Nel giro di 2.5 secondi i posti erano già esauriti.
Un signore magrolino, coi baffi a spazzola e il cappello alla Australiana stava in piedi tranquillamente aspettando di parlare con noi. Dereck è il gestore del Broome Turf Racing Club, lo stadio ippico dove da Giugno a Settembre si svolgono numerosissime corse di cavalli, una passione che da Est a Ovest, da Nord a Sud resta immutata nello spirito nazionale.
La grande tenuta doveva essere pulita e messa in ordine prima della nuova stagione e così si cercava manodopera in più per raccogliere le milioni di foglie che sommergevano le strade e le stalle. “Un paio di giorni di lavoro”, ma poi si sa, gli Australiani dicono sempre così perché prima vogliono testare il modo di lavorare delle persone. Così ad una prima occhiata era ovvio che ci sarebbe stato lavoro almeno per tutta la settimana.
Non mi aspettavo un grande salario e così quando Dereck ci ha proposto 20 dollari all’ora ero già più che felice. Ma per fortuna era lì con noi Francesco, un ragazzo italiano che, arrivato a Broome da un pochettino più di tempo di me,  sapeva più o meno la media degli stipendi in WA, che senza troppe difficoltà è riuscito a farci alzare la paga a 25.
Devo dire che ci sono abbastanza rimasto. 25 dollari per raccogliere foglie. Come qualcuno da casa mi ha scritto “Amsa di lusso!”. Certo il caldo a 36 gradi e le mezzore di pedalata la mattina per arrivare al lavoro non rendevano il lavoro facile, ma spesso ci trovavamo all’ombra degli alberi e i ritmi erano tutt’altro che infernali.
Così ho sfruttato al massimo la mia settimana lavorando anche il Sabato e la Domenica mattina, nonostante la bellissima festa notturna in spiaggia del fine settimana a Cable Beach.
Sotto una bellissima stellata, uno spettacolare falò bruciava come il vino e l’alcol che scorreva a fiumi in ognuno, mischiando il suo rosso a quello del sangue. Una cassa riempiva il silenzio con la musica e ognuno ballava nei più disparati modi inimmaginabili e qualcuno, venuto diretto dal toga party dell’ostello, si spogliava dei lenzuoli bianchi, alimentando con essi il fuoco, e rimaneva nudo, senza pudore né tanto meno vergogna.
Ma la vera particolarità del nostro posto di lavoro era che era a 2 minuti dal mare e da Gautame point, una piccola e spettacolare insenatura di rocce, trampolino perfetto per degli spettacolari tuffi da 6 metri circa di altezza. E’ tutta un’altra vita quando invece dell’onda di sudore bollente della metropolitana ti ritrovi sulla pelle quella del mare.
E così alla fine le ore diventano leggere come le foglie che raccoglievamo nel meraviglioso conto alla rovescia che ci separava dal relax di quella limpida piscina.
Da Gautame point si poteva vedere in lontananza Cable Beach, la lunghissima spiaggia bianca dove la prima sera ho goduto dell’emozione di quel bellissimo tramonto che riflesso sulle rocce naufragate sulla sabbia sembrava essere sulla superficie della luna. Nulla a che vedere con la violenza dei tramonti di Cape York. Sfumature leggere di rosa e arancione si perdevano nell’orizzonte accarezzando la pelle dei cammelli che passeggiavano in fila indiana trasportando sulle loro gobbe una ventina di turisti.
Dall’altra parte della città a Town Beach, a oriente, alle 7.54 avevamo appuntamento con la luna. E così dopo non appena il buio è iniziato a calare abbiamo ripreso l’autobus per la solita modica cifra di 4 dollari a biglietto.
Puntuale, davanti a qualche centinaio di occhi e ai noiosissimi bip bip delle macchine fotografiche, una informe e stiracchiata luna emergeva rossa all’orizzonte disegnando a poco a poco una scia sull’oceano, come una stairway to heaven, e nell’alzarsi nel cielo recuperava lentamente una certa sfericità, come la pasta della pizza di un pizzaiolo.
Ci sarebbero libri da scrivere sui ragazzi-viaggiatori che ho incontrato in una settimana, gente da tutte le parti del mondo, ognuno con una sua piccola grande storia, da chi vuole cavalcare il deserto della mongolia a chi a 30 anni si gioca l’ultima chance di trovare uno sponsor per non tornare a casa, da chi, per non pagare l’ostello, si mimetizza di notte a dormire in macchina nel bush australiano a chi ha lasciato casa e lavoro 4 anni fa e ha girato un po’ il mondo e ora inizia a cercare un senso più profondo alla propria vita e uno scopo.
E se alzi un po’ lo sguardo noti come a Broome non ci siano piccioni. Al posto loro volano i falchi…

Ciao Darwin!



“Ciao Darwin, è stato davvero un piacere, ma 30 dollari per un letto in un ostello, in camera da quattro senza bagno, sono un po’ troppi per rimanere.  33, ora che inizia la Dry Season, figuriamoci.
Ultimo baluardo australiano, ai confini con l’Asia, lì a Nord, ti avvolge il caldo umido della piena zona tropicale, mentre l’Australia separa i tuoi prodotti della terra da essa con le sue dogane, per i parassiti e gli insetti che distruggerebbero le culture dei vicini Queensland e Western Australia.
E’ stata una sorpresa quando quella mattina a Cairns andando diretto all’aeroporto domestico per i voli nazionali non ho trovato il tuo nome, confinato nel terminal 2 insieme ai voli per Hong Kong e Singapore, lontano, oltre il mare. E’ stata ancora una sorpresa quando all’arrivo mi hanno ricontrollato il passaporto e il visto, come avessi cambiato nazione. Ma sei sicuro che sei OZ? Non è che mentre galleggiavi tra le piogge tropicali tra Ottobre e Febbraio, ti hanno tolto la cittadinanza da sotto il naso?
Eppure anche se sono stato lì solo due giorni ne ho conosciute di persone. Come quella piccola francese che compiva gli anni, che come una trottola continuava a girare su se stessa in mezzo alla discoteca. Che poi, usciamo anche se sono stanchissimo, perché il tuo compagno di stanza tedesco, fino a poche ore prima sconosciuto, ti chiede di fargli da spalla per tenere occupata l’amica bruttina di lei, e così ti ritrovi nel locale gay della città con gente che ti sorprende alle spalle cercando di sfilarti la maglietta di dosso, ma va beh!
Ti ho incontrato in un giorno speciale, tra l’altro, l’Anzac Day, il 25 Aprile, festa sia in Italia che in Australia e Nuova Zelanda, incredibile. Se ho capito bene l’acronimo significa Australian (and) New Zeland Army… e la C non me la ricordo precisamente, forse “Commemoration”. Ed è il giorno in cui si ricordano le  vittime delle guerre mondiali, soprattutto della prima e della battaglia di Gallipoli (una città omonima a quella italiana a quanto pare) e contemporaneamente qui anche dell’attacco a sorpresa giapponese nel Febbraio del 1941. Il tuo porto quella mattina fu colpito dalla tipica vigliaccata offensiva improvvisa alle prima luci dell’alba, prova generale per copione e manovre della più famosa Pearl Harbour.
Per questo alle 6 di mattina la città è tutta già in piedi, nonostante la sera prima si sia brindato e bevuto al giorno di festa, ognuno con le proprie onorificenze militari appuntate sul petto o con l’orgoglio nazionale impresso negli occhi.
Rappresentanti delle varie istituzioni della città, dalle scuole alla Croce Rossa, dalla marina, all’aviazione, porgono fiori al monumento ai caduti, ad uno ad uno in una processione che la musica e l’atmosfera generale rendono molto commoventi. Chissà da dove nasce tutto questo orgoglio patriottico che si sente e si vive nell’incontro con ogni componente della società, dai bambini fino ai vecchi veterani, tutti quanti in fila marciando nella simpatica parata militare delle 9.
Non fa niente se gli avvenimenti storici qui siano sempre un po’ gonfiati, se l’attacco al porto di  Darwin è stato un quarto della portata dell’attacco contro gli U.S.A., qui sembra che quella mattina sia avvenuto il disastro di Hiroshima.  Quei pochi frammenti di storia in cui si è riusciti ad entrare nei fatti del mondo sono preziosissimi e percepiti come una Iliade.
Ma poi la sera i fuochi artificiali sul mare con le bancarelle del cibo e delle caramelle a far mandare di traverso qualsiasi boccone per quanto sei caro. Che bellezza!
Peccato che me li sono persi quei fuochi, ma mi hanno detto che non erano davvero poi un granché. Eravamo andati con il mio ormai amico compagno di stanza a compare una birra appena dopo il tramonto, e abbiamo bucato proprio quella mezzoretta.
Certo che però la piscina pubblica con le onde sul Waterfront del porto è qualcosa di veramente figo, quello lo devo ammettere. E hai solo 100.000 abitanti, e un centro città che probabilmente non batte se non per qualche millimetro quello di Sesto San Giovanni.
Va beh comunque Ciao Darwin, ho ancora troppo da girare, anche se sembra che qui trovare lavoro non sia poi così difficile, nonostante molte opportunità siano molto fuori città, sotto gli over 45 gradi del sole. Ho deciso, me ne vado a Broome a cercare lavoro nella raccolta delle perle, anche se una volta arrivato lì poi scoprirò che per quello era più facile rimanere qui. Ma sei troppo piena di backpackers che vogliono tutti a tutti costi un lavoro.
E così prendo il bus delle 7.00 di mattina della GreyHound che in 26 ore e mezza mi porterà sulla prima tappa della costa più selvaggia costa occidentale.
Mannaggia a me. Se avessi saputo a cosa andavo incontro avrei preso l’aereo, io te lo dico. Un servizio abbastanza scadente e con milioni di problemi come al solito, con in più il fatto che facendo da corriere postale attraverso quelle zone remote al confine tra il Northen Territory e il Kimberley, abbiamo fatto deviazioni su deviazioni con tanto di sosta di un’ora e mezza a Kunnunara, ridente cittadina cresciuta tra le miniere e il lago Argyle.
Ma poi Darwin il bus si è mica pure rotto? Ad Halls Creek, il peggio posto possibile, e l’autista ci fa:
“Potrebbe essere un problema veramente facile da sistemare, ma noi per contratto non possiamo mettere mano al veicolo. Abbiamo provato a chiamare il meccanico in Kunnunara, ma non risponde e non si riesce a contattare. Non c’è niente qui, e poi sono le 2 di notte e non troverete da dormire in questa comunità aborigena. Quindi vi conviene tornare a Kunnunara con l’autobus da Broome delle 5, passare lì la giornata e riprendere l’autobus delle 5 e mezza del pomeriggio”.
Morale 50 ore per cambiare città e 37 ore e mezza di pullman.
Quanto mi è costato salutarti così in fretta, ma sono arrivato giusto giusto per lo spettacolo della luna piena che sorge sul mare di Broome e per trovare subito, il primo giorno, un lavoro.
Ma questo fa già parte di un’altra storia, fuori dalla parentesi del nostro breve incontro.
Prima che mi dimentichi, mi sono scordato l’accappatoio, oltre anche di visitare i meravigliosi parchi nazionali che crescono rigogliosi sotto decine di cascate a poche ore di macchina. Va beh dai, almeno avremo un’altra scusa per rivederci in futuro.
Ciao Darwin!”

domenica 5 maggio 2013

Da uno sgrammaticato Diario di Bordo I




Questo è un diario para-psicologico di un ragazzo catapultato su una nave da pesca, esattamente come fosse Marte. E’ stato a lungo il mio unico sfogo, soprattutto nei primi giorni di difficile ambientazione per il forte choc. Dopo 52 giorni lo rileggo sorridendo, sapendo che tutto fa parte dell’esperienza più intensa e avventurosa della mia vita.

Prefazione:
Accontentarsi non  vuole dire farsi andare bene ciò che succede perché, infondo, “potrebbe anche andare peggio”

Accontentarsi significa puntare sempre al 100% della felicità, rischiando tutto, persino la vita, ma nel contempo restare con il cuore aperto e disponibile alla vita e assaporarne ogni istante con gratitudine.
Solamente da te stesso dipende la tua felicità, quindi coltiva ciò che ti rende felice ogni giorno e non ti curare del resto, ma “guarda e passa”
Ci si annoia delle amanti e ci si separa dagli amici, ma le passioni vere ci riempiono e ci accompagnano per tutta la vita.
Ma io, che passione ho?

Primo impatto.

DAY 0
Forse domani si parte, dopo aver aspettato il frigorifero e il ciclo mestruale della moglie del Capitano che gli permettesse un ultima grandiosa notte di sesso.
C’è un ragazzo alto nella ciurma, è un mago coi numeri. Dice che i numeri per lui hanno un suono. Dall’ 1 al 7 e poi l’8 suona come l’1 e il 14 come il 7. Ed è tutta una questioni di suoni nei suoi calcoli. Se il numero suona bene, allora è quello giusto.
La mia camera è piena di riviste pornografiche,  ecco come i pescatori affrontano la solitudine.
Oggi è arrivata la spesa e abbiamo riempito un intero freezer. Sembra che ci sarà da mangiare in abbondanza per i prossimi giorni.
Mi hanno detto che nel 1996 un uomo ha fatto una strage a Port Augusta uccidendo 35 persone. Allora il governo ha fatto una “massive buy-back” di tutte le armi possedute dai cittadini.
Mate ha bevuto un intero sacchetto di goone oggi a cena. Decky mi ha detto “He is a good guy. But don’t fuck with him”. L’ho visto prendere i suoi antidepressivi. Mi ha detto:
“Sai quando vai a letto e la tua testa inizia a vagare tra i pensieri? Queste uccidono i pensieri. E io devo poter dormire”. Lo diceva con una faccia gioconda, con gli occhi dalle pupille grandi e la bocca sorridente, nella forma concava per la mancanza della dentiera.

“Non fischiare mai su una barca. E’ assolutamente vietato. You will call the wind”.


DAY 2
Le nuvole in cielo mi sembrano una flotta di navi da battaglia all’orizzonte ferme quella dannata mattina a Pearl Harbour. La notte è stata calma, solo 2 pescate, una alle 9 e l’altra verso le 5. Quel senso di inutilità e di non essere specialmente importante, che si può fare anche a meno di me.
Mate ha cucinato carne, mais e un broccolo a testa. La Tv coi film è sempre accesa.
Ho guardato la luna dal tetto e mi sono chiesto “avrò fatto bene?” Quanto sono lunghi 2 mesi?”
Il lavoro sembra facile e la compagnia non male, ma ci saranno da imparare un po’ di cose velocemente…

La pescata delle 6 del mattino è stata tragica. Tantissimi gamberetti e urla a destra e a manca. Io ci ho capito poco. Ci si sono messi anche i king prawns che sono uguali agli endeavour solo con una zampa blu in più. Le urla di mate mi trapanavano il cervello.
“Just watch! It’s easy!” “Sort with two hands!” “Quick!”
Adesso devo andare giù e imparare a cucinare la colazione alla australiana. 2 mesi così. Minchia!

Night 2
Penso sia inutile contare i giorni. Qui le cose accadono solo di notte. Le albe sono tramonti e i tramonti sono albe.
La prima pescata very full mi ha colto di sorpresa: tutti che urlavano e una miriade di pesci sul tavolo. “2 HANDS!” “Crea lo spazio! Più spazio!”. Mate si arrabbai come un matto, perde la testa per nulla.
“La merda scende sempre dalla collina” e così Capitano grida a Mate, Mate grida a Decky e io mi prendo le urla di tutti e tre.
“Non riesco a fare il mio lavoro perché devo guardare te, quindi datti una mossa!” Simpatico Mate… Sicuramente non è un maestro paziente, anche quando si è mesos a spiegarmi il nodo per chiudere le reti. Zum zum 4 e 4 8, e più gli chiedevo di farmi vedere lentamente, più accelerava.
E’ solo il terzo giorno, ma già capisco quanto pesante e monotono sarà questo lavoro. Il primo shot è stato uno choc. Il secondo, il terzo e il quarto un po’ meglio. 200 kg oggi. Mate dice “not too bad”, speriamo tanti tanti soldi, almeno quelli.
Oggi abbiamo pescato di tutto. Un sacco di polpi che sono gli unici in grado con i loro tentacoli a poter cercare una via d’uscita per tornare in mare. Gli altri pesci saltano, battono le pinne e la coda, ma non hanno molta speranza. Per ora mi do da fare perché, quelli ancora vivi, ritornino in mare il prima possibile. Un po’ mi sento in colpa ad uccidere tutta quella vita, anche se Mate dice che noi facciamo del bene, perché sfamiamo contemporaneamente un sacco di altri pesci. Certo che ne uccidiamo di pesci che non c’entrano nulla!
Stiamo andando verso nord. Oggi eravamo qualche centimetro a sud di Cooktown.
Oggi sono la Galley bitch: cucino e lavo i piatti. Stamattina ho fatto una figura di merda colossale, quando ho dovuto aprire le uova, le ho aperte a 3 metri di altezza dalla pentola. Sono proprio ignorante in cucina! Mate ha cercato di aiutarmi, sorprendentemente in modo molto più paziente. Di cose nuove da imparare ce n’è un sacco. Ma sarà un lungo lungo lungo viaggio.

Night 3 gone
Abbiamo fatto 250 kg l’altra notte ma per Capitano (Haup qualcosa in tedesco) non sono abbastanza per rimanere nella stessa zona e così siamo diretti ancora più a Nord. Così stanotte dopo aver cucinato pasta e ragù, grande cucina!, siamo andati a letto alle 7 convinti che avremmo iniziato alle 9 e mezza, invece quando ho deciso di schiodarmi dal letto erano le sette della mattina. E’ come entrare in un nuovo fuso orario. 6 ore e mezzo che ho dormito ieri di giorno, più 12 ore stanotte, fanno 18 su 22!
Decky mi ha detto che la sua prima esperienza in 3 mesi ha fatto 17.000 dollari in 3 mesi. (Commento postumo: purtroppo io ne ho fatti molti molti meno, lui era a Torres Strait)
Non posso andare ancora a dormire sono troppo rincoglionito.
Stanotte ho avuto gli incubi che stessero pescando senza di me, cosa impossibile perché ti vengono a tirare giù dal letto di forza, come è successo oggi alle 3 del pomeriggio quando il Pazzo è entrato cristonando in camera mia perché non trovava più il caricatore del cellulare. Ovviamente colpa mia, anche se era nella sua stanza, anche se io ho la mia presa, anche se è stato Decky che l’ha spostata.
Ho fatto comunque un sogno strano. Ho sognato che ero tornato a casa e che me ne pentivo perché avevo dato la mia parola che sarei rimasto sulla barca e avrei guadagnato tantissimi soldi e invece ero lì senza nulla in tasca, a casa.
Così ho passato una buona mezzora a non capire dove mi trovavo. Con gli occhi chiusi ero nel letto di camera mia a Milano, con gli occhi aperti ero nel microbico letto della barca. Non mi sono mai sentito così disorientato.