sabato 27 aprile 2013

Tre personaggi che non cercano autore I


Qualcuno volò sul nido del cuculo

“Ciò che succede in mezzo al mare su una barca in mezzo al mare, rimane sulla barca”.
Così dovrebbe essere la regola. Non potendo sottrarmi a raccontare questa altra incredibile storia, rispetterò questi tre personaggi che non cercano autore non usando i loro veri nomi, ma semplicemente nominandoli coi loro ruoli.

Tutti quanti da che mondo è mondo hanno da ridire qualcosa sul proprio capo. Difficilmente però qualcuno ha dovuto convivere 24 ore su 24 con lui, più di 50 giorni, su una barca di 18 metri, con gli spazi per la vita comune di circa 3 metri quadrati.
Ancora più difficilmente qualcuno ha dovuto avere a che fare con un superiore affetto da comprovati problemi psicologici d’ansia e depressione, aggravati da un lungo uso di droghe e da notevoli problemi di relazione, basati su una assenza assoluta di fiducia nel genere umano causata da diversi anni di carcere e dagli sfortunati incontri coi più disparati individui della peggio specie nell’intero corso di quarantaepiù anni di vita.
Non sto parlando del capitano e proprietario della barca, dai grandi baffoni neri e dalla pancia prominente, che spendeva gran parte del tempo lassù, isolato nella sua cabina di comando.
Ma come “capo” intendo il mate, il comandante in seconda, responsabile di tutto ciò che accadeva di sotto sul deck, supervisione del mio lavoro.
Dopo 15 anni di lavoro come deckhand, quel ritratto di “normalità” di uomo si era deciso a cercare di avanzare di grado e di prendere il brevetto da skipper e l’Angelina Star nei suoi piani era la nave di cui, una volta passati gli esami dovuti e ottenuta la licenza, avrebbe retto il timone in futuro. Ma per fare ciò doveva assolutamente ingraziarsi la fiducia del capitano, dimostrandosi capace e pronto per un compito di tale responsabilità (ansia aggiunta ad ansia).
E tutto ciò nonostante Mate (pronuncia all’inglese mait) avesse iniziato a lavorare sulla su quella barca 12 anni fa e da allora, nonostante un discontinuo servizio, fosse stato adottato dal capitano e dalla sua famiglia che, da quanto ho capito, lo avevano aiutato a uscire piano piano da una situazione e da un giro difficile, fornendogli sempre un lavoro, un alloggio e un punto di riferimento costante.
Tirando le somme, un soggetto con seri problemi psicologici facilmente derivabili da una situazione conflittuale complessa con la famiglia e con il padre ex-militare, ma comunque una persona, c’è da dirlo, non cattiva e a tratti anche simpatica. E quei tratti erano sempre gli stessi: iniziava a bestemmiare e urlarci dietro dalle 5 del pomeriggio fino alle 6 di mattina, quando improvvisamente, dopo averci logorato le tempie, all’ultimo shot si calmava e diventava un’altra persona, capace di sorridere e fare battute (per quanto simili a “dobbiamo radere tutte le donne italiane perché hanno i baffi!”).
Ora con me, devo ammetterlo, non è mai stato troppo duro a parte quando, dopo due settimane, ha iniziato da un giorno all’altro, senza preavviso, un training intensivo per farmi andare più veloce sul tavolo da sorting: FASTER! FASTER! E io testa bassa e che cercavo di muovere le mani più velocemente possibile, pizzicato da qualunque animale possibile. Ma per due settimane qualunque cosa facessi, nonostante a volte riuscissi già a raccogliere più gamberetti di lui, ero sempre troppo lento. Ma alla fine della sesta settimana andava in giro orgoglioso dicendo a tutta la barge che ero più veloce di lui e che questo era tutto merito suo.
Riguardo al mio training c’è un piccolo episodio che esemplifica la situazione e la lunaticità del personaggio in questione.
Una delle tante mattine di quel periodo, nell’ultimo e pacifico shot, soddisfatto per i visibili risultati, era andato dal capitano urlando con la sua voce rauca“Il WOG (western oriental gentlement, termine con cui gli australiani chiamano gli europei) mi sta surclassando. Hai visto?!”.
Non ho ancora ben capito come poi 18 ore dopo (andando alla stessa esatta velocità della mattina) mi son ritrovato a dover subire una ramanzina proverbiale dal capitano perché Mate si stava lamentando che ero troppo lento e a dover firmare sul diario di bordo un patto che ci saremmo impegnati, io e l’altro deckhand, ad andare più veloce sul tavolo da sorting, proprio come se tutti si fossero dimenticati di tutti quei complimenti.
Una cosa che non ho scritto nei post precedenti è che in una normale nottata di pesca c’è l’opportunità di riposare un’oretta circa tra gli shots, e soprattutto tra la cena e primo turno delle 9.30 c’è sempre il tempo per farsi una bella dormita. Il fatto di dover essere il più veloci possibile durante il lavoro nasce, oltre dal fatto che bisogna finire assolutamente entro lo shot successivo per non perdere tempo e denaro, anche dalla semplice regola che prima si finisce più tempo si ha di pausa e in un certo senso si riesce a raddoppiare la paga: perché stando che si guadagnano ipoteticamente 80 dollari fissi, c’è differenza tra guadagnarli in un’ora di lavoro o in due ore di lavoro.
Prima di proseguire, è forse meglio per una migliore comprensione presentare qui di seguito una tabella, puramente indicativa e costantemente variabile, degli orari di una giornata media sulla  barca.

17.00: sveglia
17-17:30: snap ovvero spostamento delle scatole nel freezer principale
17.30- 18.30 (più durante tutta la notte all’occorrenza): scrittura scatole
18.15: operazioni di preparazioni del deck e delle reti
18.30: cena
20.00-21:30: finiti di pulire i piatti, preparato il deck e le scatole, primo break per il mate e a turno per i decky
21:30-23.30: primo shot
23.30-00.30: secondo break, per il capitano e per l’altro decky. Guida il mate
00.30-02.30: second shot
02-30-03.30: terzo break
03.30-05:30: terzo shot
05.30-06:15: ultimo break
06:15-8.00: quarto shot (di solito il meno pescoso)
8.00-9.30: pulitura del deck, doccia e lavatrici varie ed eventuali
9.30: breakfast
10-17: riposo

Ora capita a tutti di svegliarsi qualche volta con la luna storta, soprattutto dopo un riposo troppo breve. Ma Mate ogni primo shot era assolutamente intrattabile. Si svegliava e iniziava a urlare, anche se tutto era a posto e non si placava per due ore e mezza montando storie infinite per delle stupide facezie.
Come quando ha passato mezz’ora a darmi del disonesto e codardo perché secondo lui avevo messo i prawns della try gear nei miei bakets, per far vedere che andavo più veloce (proprio così, a volte pensavo di essere sulla Asilo Mariuccia Star!). O come quando mi ha accusato di essere un ladro perché ha trovato il pacchetto dei biscotti nella sua stanza aperto.
Morale della favola entrambe le volte era stato il capitano, prima a spostare i prawns della try gear per dargli un’occhiata e poi ad aprire la scatola dei propri biscotti che Mate custodiva gelosamente in camera sua per fare in modo che durassero più di una notte (e in effetti noi, me in testa, eravamo dei divoratori insaziabili di biscotti. A mia discolpa, come avrete potuto notare dalla tabella degli orari, il pranzo non era pervenuto e durante la notte era assolutamente necessario qualcosa da sgranocchiare per mantenersi lucidi e in forze).
Insomma il primo shot era un continuo gridarci dietro e andare a lamentarsi di noi e del pescato con il capitano.
E così un lavoro che può essere svolto senza eccessivi stress e preoccupazioni, si trasformava in una esperienza psicologicamente logorante per tutti che ha avuto il suo apice ai primi di Aprile con una scena abbastanza scioccante.
Mate era abbastanza seccato con  Capitano perché eravamo tornati a pescare un po’ più a Nord dove, secondo lui, non avremmo cavato un ragno dal buco.
Era come al solito il primo shot. Io e l’altro decky stavamo sortendo sul lato opposto. Come in un teatro di burattini la linea del bordo del sorting tray ci consentiva di vedere solo il mezzobusto delle due figure che discutevano animatamente.
“And so fuck off!”
 Mate si accorse subitò che questa ultima frase non gli sarebbe dovuta scappare.
“What have you said?” Fu un attimo. Le cicciute manone del Capitano si attorcigliarono intorno al collo del povero sventurato, stringendolo forte e, in un raptus di improvvisa pazzia, come il morso in uno squalo, trascinarono giù a poco a poco la faccia più pallida per la paura che rossa per l’assenza di ossigeno. “Ti insegno io a rispettare il tuo capo!”
Sono rimasto impietrito, choccato, immobile. Per fortuna dopo qualche secondo, che sembrò un’eternità, la presa si sciolse e Mate poté liberarsi.
Dopo giorni e giorni passati ad ascoltare le storie di un uomo che ha picchiato mezzo mondo, che è uscito vincitore dalle peggiori risse, sopravvissuto a ferite che Rambo avrebbe sopportato a malapena e che avrebbe tenuto testa a chiunque, davanti a noi ci è apparso un povero cagnolino spaventato, che tra rabbiose lacrime urlava: “io mi licenzio, me ne vado, questo è troppo”,  e urlava ancora e ancora, nascondendosi sotto una sedia, in un angolino, mentre il Capitano, nero come la pece, essendo che l’idiota non la smetteva di parlare, chinato sulle ginocchia lo assediava: “vieni fuori! Vieni fuori che ti faccio vedere io chi si deve andare a fare fottere!”
Ci sarebbe da scrivere un libro su questa avventura. Più scrivo più mi mancano le pagine e più mi accorgo che la forma del blog  e il poco tempo a disposizione mi costringono alla sintesi. Ma forse ancora più choccante di quella scena fu vedere che dopo un paio d’ore tutto era tornato normale e i due scherzavano come nulla fosse mai successo.
Dai pescatori si impara l’arte di dimenticare tutto e in fretta. Questa è una qualità incredibile degli uomini di mare che nella loro memoria trasformano tutto in leggenda, amplificando a loro piacimento qualunque fatto o avvenimento, ma  che, come dice il proverbio, spesso dimenticano persino le proprie promesse.
Nello stampo codardo di chi raramente era in grado di assumersi le proprie responsabilità, la versione ufficiale dell’accaduto fu che Mate aveva detto Fuck off non al capitano, ma ai troppo numerosi Endeavour prawns e la colpa di tutto era nostra che, non avendo pulito decentemente la cucina dopo cena, avevamo irritato in maniera pesante l’umore del capitano.
In questo c’è una parte di verità. Mentre sul lavoro andavo alla grande, il mio punto debole erano queste piccole faccende domestiche nel regno di un maniaco della pulizia il cui motto costante era: “Cleanliness is Godliness!”.
Ma in realtà a rendere peggiore il comportamento di Mate c’era un vero motivo scatenante, ecco perché nel prossimo post dobbiamo introdurre la figura di Decky.

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