giovedì 27 dicembre 2012

Un Natale irlandese rotolando nella pioggia



Nella mente di ognuno di noi Natale ha parecchi sinonimi come neve, freddo, casa, regali, famiglia. Sembrava quasi che quest’anno avesse deciso, come me, di prendersi un gap year. Le canzoncine natalizie dreaming of a white xmas, let it snow, and so on suonate a loop negli altoparlanti delle corsie del supermercato avevano effetto solo grazie al gelo dell’aria condizionata, ma creavano un cluster quasi fastidioso non appena i quaranta gradi del sole ti accoglievano appena dopo la cassa.

Il 24 sera niente cena coi parenti aspettando la messa di mezzanotte: pub e birra a volontà con gli amici. Molti ragazzi, come i figli di Frank e Hayley su a Rossgole, vanno a scuola o all’università lontano dalla città, a Sydney o Newcastle, e Natale diventa uno dei pochi momenti dell’anno dove poter rivedere vecchi amici e riunire vecchie compagnie. Il Belmore non è mai stato così pieno. Lì di fronte un paio di biondine, classiche cheerleaders collegiali, sono intente ad attirare le attenzioni del gruppo dei palestrati-tatuati-tamarri della zona, magliettine attillate e occhiali da sole con la montatura rigorosamente bianca sul collo a guardare all’indietro, riflettendo una notte non particolarmente assolata. Altre ragazze al tavolo di fianco, truccate a puntino sfoggiano vestiti non da normali sere al pub che calamitano inevitabilmente l’attenzione, a differenza dei soliti bermuda e qualche rara camicia per gli uomini, ma si sa, per noi la scelta degli indumenti non è mai un problema insormontabile che arriva spesso ad assumere dimensioni catastrofiche da fine del mondo.
Storie e storie di vita si raccontano tra risate e bevute dalle sei di sera, i camerieri portano gli ordini a destra e a sinistra, vassoi di birra, rum, pizze, bistecche e ritornano indietro con torri di bicchieri vuoti o spesso con i cocci e vetri di essi raccattati sotto qualche tavolo.
Neanche la pioggia delle dieci e mezza sembra sconvolgere l’atmosfera nel giardino: bagnati e contenti, le chiacchere e le risate si prolungano fino a mezzanotte, finché l’oste, dopo aver smesso di servire l’alcol, manda tutti a dormire e chiude il bar, come in una famosa canzone di Ligabue.

La mattina di Natale invece di precipitarci sotto il pino per vedere cosa il povero Babbo Natale avesse portato tutto sudato sotto la classica e puntuale divisa rossa e bianca, ci siamo incamminati lentamente a raccogliere altre sorprese che i nostri amici cavalli ci avevano lasciato sotto altri alberi. Ma, giusto dopo un paio di orette di lavoro, si tornava già a casa per cucinare e preparare il cenone serale. Considerando che il pomeriggio bisognava tornare a lavorare, infatti, il pranzo è stato leggero a base di insalata al mango, gamberetti, fritto misto e mosche, che come al solito hanno tentato di infilarsi dappertutto, usando forchette e bicchieri come facili passaporte verso le nostre bocche e narici. Ma tra tutto brillavano, ovviamente, le mie bruschette all’italiana, che hanno difeso la buona fama culinaria del nostro paese.
Shane e Sarah organizzano sempre il Natale a casa loro, qui a pochi passi dal nostro cottage. Irlandesi, come i loro amici veterinari seduti al tavolo con noi, spesso è difficile considerarli come dei  veri e propri capi o superiori, sia per la loro grande gentilezza, sia perché coi loro 26 anni sono quasi coetanei. Shane è arrivato qui 4 anni e mezzo fa per girare l’Australia e quando la sua passione per i cavalli l’ha portato nell’Hunter valley, non è stato difficile per lui trovare lavoro qui a Yarraman, dove, come in molti che lavorano qui, ha trovato lo sponsor  per restare e vivere. Il suo primo Natale qui in Australia, però, non è stato fortunato come il mio, in quanto, come ci ha raccontato più volte, lo ha passato da solo. Sarah, la sua ragazza e a Giugno futura moglie, lo ha raggiunto solo l’anno successivo, portando con lei il loro You’re beautiful, il loro cavallo irlandese e Benji e Ally, i loro due cani.
A cena c’era anche Iuri, un ragazzo ucraino, anche lui qui ormai da più di un anno grazie alla sponsorizzazione di Henry e Arthur (i due fratelli che gestiscono e posseggono la tenuta).
Iuri è una persona abbastanza complicata da comprendere, sempre taciturno, parla un inglese che sembra a tutti gli effetti russo, nonostante abbia passato 8 anni in Inghilterra lavorando per un’altra stud. Nonostante il suo essere silenzioso, i suoi occhi hanno sempre una strana e vigile luce che smebra appartengano a un possibile serial-killer omicida psicopatico che è meglio trattare con tutti i crismi, per non farlo arrabbiare. E non perché mangia uova crude o tenta di far entrare furtivamente una bottiglia di vodka alla festa di Natale aziendale, dove sembrava di essere nella villa di Bacco in persona, ma perchè sempre mi ricorderò quando la prima settimana, per far muovere una cavalla sana, che aveva deciso di voler passare la prossima mezz’ora a mordicchiare una staccionata, si è messo ad urlare “Davaaaaai!” e le ha molltato un paio di calci nel sedere, senza temere minimamente la sua reazione. Impavido!
Ma, comunque, anche lui è un bravo ragazzo e un lavoratore instancabile che passa gran parte delle giornate come me a cercare di far funzionare il gigantesco quanto malprogettato food mixer.
Il tavolo per la cena era già pronto con nove sedie fin dalla mattina. A completare il tavolo c’erano due amici irlandesi, una coppia di farmer della zona, me e Alina.
Prima di iniziare quello che sarebbe stato un combattimento epico e senza precedenti con la capacità di dilatazione delle pareti del mio stomaco, ho scoperto la tradizione dei crackers, caramellone di cartone che si fa scoppiare (da lì il nome onomatopeico) coi i propri vicini, incrociando le braccia e tirando ognuno dalla parte opposta.
All’interno ci sono piccole sorprese da ovetto Kinder, come piccole trottole o un mini-pettine giallo che ho ancora qui e che nonostante le dimensione microbiche funziona assolutamente, una coroncina di cartacrespa da indossare durante tutta la cena, e purtroppo, una barzelletta o un colmo che raramente riesce a far abbozzare un sorriso e spesso, invece, invita alla depressione.
La più bella sorpresa, però, ce l’ha fatta il tempo. Dalle quattro di pomeriggio, infatti, ha iniziato a piovere a dirotto, interrompendo una siccità di più di un mese e mezzo, e annuvolando il cielo, ha abbassato la temperatura fino a 15-16 gradi, che è sempre primavera, ma costringendoci a indossare almeno una felpa, è stato sufficiente per farci sentire tutti quanti un po’ più a casa nell’emisfero boreale.
Nelle luci delle candele un enorme tacchino, un intero prosciutto, due mega ciotole di pure e pasticcio di patate, un timballo di frittura mista, carote, e davvero non mi ricordo più quanto cibo fosse impigliato nel traffico delle nostre mani che a stento cercavano di trovare un po’ di spazio sulla tavola per appoggiare i vassoi e quanto ne è finito nel mio e negli altrui frigoriferi come scorta per i giorni successivi.
Ma la cosa peggiore è stata, dopo due ore, mentre ognuno stava già quasi per rotolarsi sul divano al grido di “si salvi chi può”, scoprire che lo spirito natalizio aveva invaso ognuno di noi a tal punto che ognuno si era sentito in obbligo di cucinare un dolce per tutti. A fare concorrenza al mio tiramisù c’era un enorme e massiccio timballo di cioccolato e M&M’s, un immensa distesa di pavlova, le frittelle ucraine con crema di latte di Iuri, un paio di altre torte e una vasca olimpionica di gelato.
Non c’è da meravigliarsi che alle nove di sera il nostro Natale si è concluso addormentandoci ognuno davanti alla televisione a vedere Home Alone (nient’altro che il famoso: Mamma ho perso l’aereo).

Incredibilmente ho, però, ricevuto dei regali. Arthur, il proprietario che si occupa della parte di farm dove lavoro, oltre ad invitarci a casa sua per un familiare aperitivo il 24 sera, nonostante io lavori qui da sole tre settimane si è preoccupato di avere un piccolo pacchettino regalo anche per me, come per tutti, con un portafoglio dove infilare i 150 dollari di bonus che abbiamo appena ricevuto per ringraziarci del nostro “duro e professionale” lavoro. Shane e Sarah, invece, da buoni irlandesi, ci hanno regalato un boccale di birra di plastica che, se tenuto in frizer, aiuta a mantenere fresca la birra a lungo. Purtroppo non ho potuto contraccambiare, perché la cosa mi ha colto alla sprovvista, ma adesso che sono iniziate le ferie e ho 5 giorni di vacanza per Capodanno, avrò il tempo di pensare a qualcosa.

Domenica mattina mi aspetta il treno per Sydney. Dopo quasi 3 mesi di vita campagnola rivedo la grande metropoli e tutti i miei amici di Catherine Street (tutti trasferiti altre case, dopo continui problemi con Internet e litigate furiose) e del Caffè Amici. Il capodanno coi fuochi sul mare sotto l’ Harbour e l’Opera House dicono qui che sia qualcosa di speciale. Ma cosa in tutto questa esperienza non lo è?

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