venerdì 16 novembre 2012

Vita da cani

Vita da cani è quella che ha fatto Kim nelle sue prime due settimane di farm.
Kim è una ragazza irlandese che ho conosciuto Sabato scorso quando sono andato a trovare Alina, la mia ex-collega, nel nuovo allevamento di cavalli da corsa in cui adesso lavora, non molto distante da qui.
La maggior parte dei backpackers che si addentrano nella terra australiana per riuscire a fare il loro 88 giorni di farm, non è destinata all’allevamento o alle numerose miniere sparse qua e là, ma alla fruit picking.
“A rough slave’s job”. Più o meno è stato questo il riassunto in una sola frase di tutta l’esperienza in una gigantesca coltivazione di fragole. Piccole piantine divise in lines di circa un metro ciascuna su cui stare chinati per circa una decina di ore al giorno per la modica cifra di 9 cents al metro. In totale 16 dollari in due settimane. Detto all’australiana il prezzo di 4-5 chili di mele o se preferite 8 bottiglie d’acqua naturale.
Ovviamente ci sono farm di fruit picking che per quanto massacranti per la propria spina dorsale e per il proprio morale fruttano leggermente di più e danno comunque l’opportunità di conoscere tanti altri ragazzi da tutto il mondo (non come nell’isolamento della collina di Rossgole). Ma molti posti marciano sul tentativo disperato di quasi tutti di ottenere il secondo anno di visto e tra i backpackers si narrano storie di storie di ragazzi e ragazze che hanno passato giorni davvero duri o che se la sono vista davvero brutta.
Un po’ come la mia vita da cane, mentre ( o ero a questo punto) tentavo di radunare tutte insieme le mucche e i vitelli del paddock West Gordon.  E infilati in un piccolo canyon e poi in una piccola gola, e risali i torrenti e sballonzola tra le rocce, va’ a finire che se non hai molta esperienza rischi di volare per terra. Ed è proprio quello che è accaduto Martedì, mentre cercavo di venire fuori da una piccola gola a “V” nel cui fondo, sa Dio come, ero capitato seguendo due mucche ribelli.
Dritto verso la salita! E ce l’avevo quasi fatta e ce l’avrei fatta del tutto se nascosto tra l’erba non ci fosse stato un grosso pezzo di legno che mi ha fatto girare il manubrio. Appena un poco di traverso, in un secondo il quad si è sollevato su due ruote e si è ribaltato. Per fortuna di lato.
Grazie a Dio quelle piccole macchinine sono state progettate abbastanza bene, dato che il manubrio e il back sono leggermente rialzati rispetto alla sella.  Cadendo lateralmente, la motocicletta ha iniziato a rotolare sopra di me, ma grazie a quel piccolo spazio sono riuscito innanzitutto a salvare le gambe e poi con una mano a evitare di farmi arrivare la sella dritta sul setto nasale. Mentre ancora leggermente scioccato, guardando le mie mani miracolosamente intatte, pensavo che avrei potuto prendere un bel 10 all’accademia di formazione per gli Stuntmen, (e perfino la lode a quella dei pirla), il quad è ruzzolato sempre più velocemente fino al fondo della “V” fermando la sua corsa, dopo essersi cappottato sei-sette volte sul fianco.
Macchine robustissime: meccanica totalmente intatta, muso e luci come nuovi, il problema principale è che il dietro si è leggermente stortato, ma senza intaccare minimamente la stabilità di marcia del veicolo.
Non so come e per quale miracolo del cielo io lavori ancora qui e non sia stato licenziato in tronco, però penso che per questo mese il mio stipendio sarà devoluto alla riparazione dei danni. In compenso, volendo tranquillizzare a casa, ho solo sbucciature varie ed eventuali sui gomiti, su tutta la schiena, sulle ginocchia, e una caviglia malconcia che, però, si è già sgonfiata.
Ma fossero solo questi i problemi del mastering delle mucche! Insieme a loro, infatti, viaggia anche il toro. I tori qui sono dei veri e propri bisonti, stupidi e de-cornutizzati, enormi ammassi di carne che non fanno altro che muggire e cercare di evadere dai paddock a cui sono stati assegnati, rompendo fences  e ammaccando cancelli. Ma d’altra parte si sa: le mucche del vicino sono sempre le più gnocche e ogni toro non si accontenta delle 40 e passa vacche con cui deve copulare in circa una decina di settimane.
Animali assolutamente territoriali, quando sono da soli con il loro arem sono dei paciocconi beati e tranquilli. Negli yard, quando vengono raccolti insieme alle mucche e ai vitelli, non creano mai problemi: i figli sono affari delle madri, di madri ce ne sono 40 diverse ogni anno, quindi la loro filosofia è quella del menefreghismo più totale.
Oggi però, sotto il diluvio universale, stavamo muovendo una cattle (=mandria) da un paddock lontano per poter iniziare subito Lunedì con il branding dei circa 300 vitellini rimasti. I paddocks dell’immensa parte Sud-Ovest della tenuta fluiscono tutti nella Line una striscia di terra che dalla Station arriva fino ai confini della proprietà. Passando per di là, molti animali curiosi si avvicinano alle rispettive recinzioni per guardare la scena.
Tutto tranquillo finché il toro nero che era con la nostra cattle non ha incontrato lo sguardo del toro bianco parcheggiato dietro la fence di “nonmiricordoancorailnomedituttiiquarantadiversipaddockdellatenuta”.
Strano modo hanno i tori per sfidarsi. Prima di tutto si inchiodano ed è quasi impossibile farli muovere dalla loro posizione. Poi con la zampa anteriore iniziano a scavare per terra, respirando sempre più affannosamente. Quando l’avversario risponde allo stesso modo, i due contendenti abbassano la testa continuandosi a guardare intensamente, aumentando il respiro e scavando più freneticamente. Questa fase può andare avanti anche diversi minuti, finché, quasi contemporaneamente, uno si lancia contro l’altro schiantandosi testa contro testa.
Su un piccolo quad, allora, non si può fare molto, perché il toro inizia a sfidare chiunque gli capiti a tiro e con una testata è capace di ribaltarti. ( “mò basta però!”)
Così Fos ha dovuto prendere il pick-up da lavoro e affrontare il toro con il paraurti. Uno scontro epico, in cui nessuno dei due contendenti andava tanto per il sottile. Fos continuava letteralmente a investire l’animale che rispondeva a testate, cercando di divincolarsi per andare dal suo vero avversario, l’enorme bestione bianco che continuava a muggire e a raschiare il terreno con la zampa dietro di noi.
Dieci minuti di dura lotta portata trionfalmente a termine, con il povero Tic che da bravo cane da lavoro, cercava, abbaiando, di far rientrare il toro nei ranghi, ma per quando temerario, doveva fare i conti con le proporzioni sfavorevoli ( 1 a 30 almeno) e  ogni volta che il bestione puntava la testa verso di lui, non poteva far altro che rintanarsi dietro la mia motocicletta piagnucolando spaventato.
Vita da cani è anche quella delle lepri che si nascondono nelle tubature di scorta parcheggiati vicino alla mia stanza. Mercoledì, infatti, ho potuto assistere ad una singolare caccia alla lepre. Protagonisti io, Frank e suo padre e i tre piccoli cagnolini domestici (due spanne massimo di lunghezza) Dash, Minnie e Jack.
Guardando in tutti i tubi, appena se ne trova uno in cui si vede un piccolo leprottino, si prendono due bastoni e si copre l’estremità del primo con il fondo in una bottiglia di plastica, esattamente del diametro del tubo. And that’s it! Molto semplice e artigianale come cosa: Frank da una parte infilava i bastoni nei tub, dall’altra Albert, suo padre, aspettava che l’animale fosse spinto fuori e afferratolo velocemente, con un rapido movimento delle mani lo uccideva tirandogli il collo, lasciandolo i tre cagnetti affamati a lottare per la preda.
Finale thriller quando Minnie ha iniziato a ciondolare e a camminare perdendo l’equilibrio. Subito portata verso la città per paura di un morso di un serpente, “it turns out to be just an heating”. Finali sempre da favola a Rossgole.
Vita da cani... chi ha coniato questa espressione sicuramente non è mai stato qui, e sicuramente non ha mai conosciuto questi Minnie e Dash, i preferiti dal padrone, liberi di andare dove vogliono, con una cuccetta morbida e al caldo in casa, rispettati  e temuti come dei capetti mafiosi dagli altri cani grandi il triplo, addirittura ammessi nello yard durante il branding (nonostante siano un grande intralcio per un lavoro che già rischiede grande attenzione e velocità)per permettere loro la degustazione dei testicoli di torello ancora caldi, appena strappati dall’animale. O almeno questo vale per Dash, Minnie non entra più dove ci sono le mucche. Una volta ha preso un calcione che l’ha quasi messa k.o…
E di calcioni ne prendono e ne rischiano Cif, Tick, Bess, Ella, Max, George, Sam, Scott e Redclif, quando saltano dentro i corridoi di staccionata tra le gambe delle pecore per farle avanzare, o quando corrono instancabili attorno alla mandria o al gregge per tenere uniti gli animali. Sono loro infondo i veri pastori. Sono loro che rendono il lavoro più facile, intelligenti  e diligenti per quanto a volte, giocherelloni o troppo volenterosi, si trovino anche loro nel posto sbagliato (di fronte: tutti gli animali si conducono spingendoli da dietro). Ma per un paio di coccole e una ciotolina di croccantini dal proprio padrone ucciderebbero. Ucciderebbero come Boss, il cane da caccia al maiale di Kevin, che l’altra sera è tornato con il muso mezzo distrutto dalla zampata della preda.
E io li posso capire perché passo la gran parte dei giorni a saltare su e giù dalle recinzioni, a camminare e a correre dietro ai gregge (infatti, quando c’è Frank nei paraggi non posso più guidare il quad nei paddocks), a  guardare negli occhi i vitelli spaventati, incastrato tra di loro in due-tre metri quadrati, mentre iniziano a scalciare e a saltare impazziti.
Questa è proprio e letteralmente una vita da cani.
 
….
 
I raggi del sole non sono qualcosa di inventato dai disegni dei bambini.
Li puoi vedere espandersi verso di te, sottili come piccole lame squadrate, tagliare in piccoli batuffolini sfilacciati la lana delle nuvole, a rallentatore, sopra la tua testa.
Scrivere per far vedere, dipingere per raccontare. Poco importa la forma, ciò che si imprime sulla retina in quel secondo non ha linguaggio per essere comunicato, se non quello di essere lì, presente, tutt’uno con il leggero venticello che ti accarezza i vestiti portando con sé le voci di tutti gli animali che invocano il sole come a dirgli “non andare! Aspetta ancora un po’…”
Da est a ovest ogni centimetro di cielo ha un pigmento diverso, un mosaico di piccole tessere che conducono dolcemente gli occhi verso la linea delle colline, sopra cui aleggia compatta la lontana nube bianca, rimasuglio della tempesta del pomeriggio. Se la si fissa per qualche secondo, prima che il sole bruci i tuoi iridi, si può capire come gli antichi e gli scrittori di favole possano aver pensato che gli Dei e un giorno anche gli uomini potessero costruirci sopra castelli e città.
Sedersi e osservare il tramonto, non c’è miglior modo di finire una settimana.
 

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