venerdì 30 novembre 2012

Quattro mesi e un temporale

Quattro mesi. Solo a pensare a Domenica scorsa ne sembrano otto. Eppure volano come fossero neanche uno.

Quattro mesi e ancora quando devo entrare in macchina spesso apro la portiera di sinistra, e quando devo svoltare da qualche parte o cambiare corsia, invece di mettere la freccia aziono i tergicristalli.

Settima e ufficialmente penultima settimana a Rossgole questa. Venerdì prossimo mi trasferisco qualche chilometro più in là, nell’immensa tenuta di cavalli di cui ho parlato qualche post fa.

Obiettivo per questi ultimi sette giorni: smetterla di combinare danni.

Dopo la macchina con il buco nel radiatore, il quad ribaltato, le zanzariere piegate nel tentativo goffo di rimontarle sulle finestre, oggi è arrivata la ciliegina sulla torta.

C’era semplicemente da trovare dove fosse il piccolo buco in un tubo di condottura dell’acqua a circa un metro sotto terra. Morale per trovare un buco, ne ho fatti altri venti, scavando tra la terra e le rocce con un piccolo piccone e con la vanga. Così invece di dover cambiare cinquanta centimetri, si è dovuti cambiare 5 metri di tubo. Quanta pazienza che hanno con me.

A mia discolpa, però, erano le 8 meno dieci del mattino e c’erano già 29 gradi.

I metereologi dicono sia il fine Novembre più caldo degli ultimi 30 anni. Ora io non c’ero per dirlo, però marchiare i vitellini (settimana dopo settimana diventano sempre più grossi) alll’una di pomeriggio sotto il sole cocente a 37 gradi non è proprio stata una passeggiata.

Tutto questo anche se Lunedì e Martedì c’è stata la fine del mondo, con circa 100 mL di pioggia caduti in meno di 48 ore in Cambria, con alberi abbattuti, rami dappertutto, e grazie a Dio, nessun incendio, (come è accaduto in qualche altra proprietà a valle).  Settimana, così, maledettamente passata a raccogliere tutti quei rami.

Mercoledì e Giovedì sono state invece mattine tipicamente Padane, avvolte in una nebbia fittissima, da non vedere a cinque metri. Manco a dirlo, tra un po’ mi perdo nei paddock cercando le pecore a cui dovevo dare da mangiare.

Ma perché i paddock sono così grandi qui?

Perché in una zona così arida tanto spazio significa più possibilità per gli animali di trovare abbastanza cibo per vivere. E spesso non basta.

Nonostante le piogge di inizio settimana, infatti, questo mese è stato aridissimo, e Frank è stato costretto a inviare camion e camion di mucche in un’altra fattoria, a una mezz’oretta da qui, dove è sicuro ci sia un po’ più di erba da brucare.

L’aridità qui è una vera piaga ed è il peggior nemico dei farmer australiani, tanto che ognuno conosce il volo degli uccelli e la forma delle nuvole, e da un cielo grigio che sembra non lasciare scampo ti sanno predire che non cadrà neanche una goccia e da una giornata di sole limpidissima con appena delle nuvole paffute all’orizzonte prevedono in modo quasi infallibile l’arrivo della pioggia.

 

Ma l’Australia in generale ha molti altri problemi attuali da affrontare.

Prima di tutto è simpatico vedere che anche qui la Prima Ministra, a capo del governo, tale Julia Gillard, ha dei problemi con la giustizia, per cose accadute circa 20 anni fa, circa l’aver favorito degli illeciti in delle compravendite. Ma è sicuramente più simpatico che nonostante la notizia occupi comunque dieci minuti del telegiornale, nel servizio si veda un parlamento con soli due partiti e meno di 150 persone, e interviste rilasciate non da mille politici a caso, ma da leader dell’opposizione, (che però ovviamente dice le stesse identiche cose che vengono dette da noi, solo in un’altra lingua). Qui si capisce bene cosa significhi quando in Italia si parla di giornalisti politicizzati: qui i giornalisti sono delle iene affamate di obbiettività e giudizio, pronte a sbranare a furia di domande chiunque si sieda di fronte a loro per una intervista.

Comunque la fiducia nella politica qui in Australia è più o meno come quella che c’è oggi in Italia: una grande preoccupazione tra i vari politicanti è apparsa nella loro mente quando nelle ultime elezioni in Queensland, sono andati a votare veramente in pochi.

Oltre all’inchiesta sul Primo Ministro un’altra notizia tiene banco in questi giorni: lo scandalo degli abusi sessuali sui minori all’interno della Chiesa Cattolica. Una piaga che è arrivata fin quaggiù e che ha suscitato una tale indignazione che è stata sguinzagliata sull’argomento la War Commision, incaricata non solo di indagare su tutte le associazioni cattoliche, ma su tutte le associazioni in generale che hanno a che fare con dei minori. La percentuale di Cattolici in Australia è vicina al 50% e si divide circa equamente le anime locali con la fede Protestante, anche se nell’ultimo periodo, come in molte parti del mondo, la popolazione mussulmana sta diventando numerosa. E gli Australiani non ne sono affatto contenti. L’orgoglio violento e l’intransigenza araba, infatti, hanno suscitato quaggiù un senso anti-islamico fortissimo, e l’opinione pubblica guarda con molta preoccupazione e diffidenza alle nuove ondate migratorie dal Libano, dalla Siria fino all’Iran e al Pakistan.

Proprio con quest’ultimo, ci sono stati grandissimi problemi negli ultimi periodi. Pakistan e Australia erano due grandi partner commerciali a livello di ovini. Gran parte delle esportazioni OZ (diminutivo di aussie) erano dirette verso quel Paese, finché non si è scoperto come i pakistani maltrattavano le povere pecore, come per esempio gli tagliavano le gambe senza prima, e neanche poi, ucciderle. Benzina sul fuoco. Ma il vero problema per il futuro australiano è un altro. La Cina e i Cinesi.

Come molti paesi del mondo che hanno visto in quel miliardo e passa di persone un futuro mercato da raggiungere assolutamente, ora l’Australia rischia di diventare tragicamente dipendente dall’economia cinese. Per esempio il settore minerario (di cui ho detto le fortune precedentemente) sta avendo un momento di forte rallentamento o crisi, (cosa impensabile per un paese che esporta minatori fino al deserto della Mongolia!) per via della diminuzione di richiesta del mercato cinese. Ma c’è un problema più subdolo che nasce dall’interno. Sydney e i suoi palazzi, per esempio,  in alcune aree oggi come oggi appartengono per più del 70, 80, a volte 90 per cento ai cinesi. Ci sono aree di periferia interamente cinesi, ma se si pensa ad Haymarket o a Newtown si scopre che il cuore della città è già una mezza Pechino.

 

Nel frattempo qui è finita la scuola e sono iniziate le vacanze estive fino al primo Febbraio. Ancora un mesetto e iniziano anche le mie…

martedì 27 novembre 2012

you are a legend!


Sarà capitato a tutti almeno una volta nella vita di uscire una Domenica sera per un veloce aperitivo con un’amica alle cinque e mezza del pomeriggio con giusti giusti quindici dollari per due birre e qualcosa da sgranocchiare e tornare a casa all’una dopo aver bevuto 6-7 birre, essersi abbuffati come un bue e con 135 dollari in tasca.

Questo è quello che è capitato a grandi linee a me e alla mia ex-collega Alina in Musswelbrook, ridente cittadina dell’outback australiano di 23,500 abitanti tra le miniere e le fattorie dell’Hunter Valley.

Serata delle grandi occasioni al pub di fronte alla stazione, dove nel piccolo retro del locale si stava esibendo un duo chitarra-voce, mentre, tra i fiumi di birra normalmente ingurgitati dagli australiani, tipo sagra del paese, erano serviti, in cucina, pollo, salamelle, e via dicendo.

Se sei una faccia sconosciuta in un paese così e entri nel locale con una biondona di un metro e ottanta sicuramente non puoi sperare di rimanere inosservato. E così mentre prendevamo posto nell’ultima panchina infondo per sorseggiare la nostra birra e goderci un quarto d’ora di musica non troppo male, ecco che da un tavolo di quattro ragazzi spunta fuori la copia cattiva e tatuata di Justin Timberlake: “Hey guys! Would you like to join us?”

Lo “sliding doors”. Non trovammo parole per rifiutare.

Quattro minatori in libera uscita dopo 8 ore di lavoro, ragazzi tra i 26 e i 30 anni che come molti sognano qui sono riusciti a entrare nel dorato mondo delle miniere australiane. Perché qui i minatori guadagnano cifre spropositate. 600 dollari al giorno (circa 500 euro con il cambio attuale), con 4 giorni di pausa ogni 10 giorni di lavoro. E questa deve essere la paga media, anche per quelli che, detto con le loro parole, “puliscono i cessi”.

Ci eravamo appena seduti al tavolo con ricchi giovani ventenni il cui unico modo di passare il tempo è quello di spendere più soldi possibili al pub con gli amici.

Non appena saputo il nostro stipendio nella farm (per guadagnare ciò che guadagnano loro in un giorno al netto io devo lavorare 15 giorni) le birre hanno iniziato a piovere sul bancone senza neanche sapere da che parte venissero. Probabilmente fino a quel momento il merito di tutto era di Alina, ma poi a lei è venuto in mente, proprio mentre la band era in pausa-cena, che io canto e suono la chitarra. E così in cinque secondi, mi sono ritrovato catapultato su un palco sperduto dell’Outback australiano a cantare When you say nothing at all, colonna sonora del celeberrimo film Notthing Hill, di Ronald Keating, celeberrimo cantante australiano se non altro per il fatto che è il giudice di punta dell’X FACTOR locale.

“Another one, italian!” “You rock!!!”

Se fosse stato per loro sarei ancora lì a cantare su quel palco.

“You’re a legend, mate! The italian legend!” questo è stato il coro unanime dei miei nuovi amici, dopo mezz’ora di esibizione e dopo, penso, la decima birra, mentre tiravano fuori dalle tasche pezzi da dieci, venti dollari e me li mettevano tra le mani, dicendo “te li meriti”, “stasera ti offriamo tutto noi”, “non preoccuparti della macchina, bevi, goditi la serata, e puoi stare a dormire da noi”.

Dopo i complimenti del proprietario del locale, altri soldi da un elettricista e da qualcun altro, e un bambino simpaticissimo che è passato di fianco salutando con la mano e sorridendo “I see you playing, I see you playing!”, dopo fiumi di birra, (che intanto si era trasformata a poco a poco in rum), dopo capriole, verticali, dolphins  sulla piccola pista da ballo, si decide (o meglio loro decidevano, noi li seguivamo. Il che fa un po’ pecoroni, ma qualcosa devo aver assorbito lavorando ogni giorno con quegli animali) abbiamo cambiato pub per ingozzarci di hamburgers e patatine.

Il problema principale è che loro dovevano mangiare il più possibile in quanto il giorno dopo, al lavoro, come ogni mattina, avrebbero avuto la “prova del palloncino” per accedere alla miniera e il limite di tolleranza è molto rigido: zero.

Ma il vero problema è che, per quanto bravissimi ragazzi, sono sempre minatori ubriachi  abituati a lavorare 11 ore al giorno tra soli uomini. Così Alina è venuta da me e mi ha detto:

“Mi raccomando, tu mi devi proteggere.”

Tre su quattro erano ex giocatori di rugby o Football, il più basso era alto un metro e novanta, e un paio di loro avevano i muscoli delle braccia grandi come entrambe le mie cosce.

“Va bene! Vediamo quello che possiamo fare!”

E così a fine serata, nove e un quarto di sera, ci siamo fatti ospitare dal più piccolino fisicamente, o almeno quello contro cui avrei avuto almeno la possibilità di resistere una decina di secondi se fosse successo qualcosa.

Ma era una precauzione assolutamente inutile. Non ce ne sarebbe mai stato bisogno. Dopo averci offerto tutto e di più, trattati come amici di una vita, (o come “una leggenda”), ci è stato offerto anche un letto e una televisione per darmi il tempo di smaltire l’alcol in corpo e poter guidare.

Ma cosa ci fanno con tutti quei soldi questi ragazzi?

Il ragazzo che ci ha ospitato l’anno scorso è partito per il Sud America e ha girato per 9 mesi, lavorando per sfizio solo due giorni, girando dappertutto e tornando con ancora qualche risparmio.

Un altro, invece, ha deciso di vivere quattro settimane “da Re”, tra hotel, party di lusso, casinò.

“Ne è valsa la pena?”

“I don’t know. At least I have a lot of stories to tell”.

La parola “risparmio” non esiste nel loro vocabolario.

 

Sabato, invece, siamo andati a Newcastle, che nella geografia australiana è sull’oceano Pacifico vicino a Toronto, a un’oretta di macchina da Sydney e a due ore e mezza da qui, a goderci il primo caldo torrido della stagione. L’estate qui, infatti, inizia Sabato prossimo, il primo Dicembre, e le onde dell’oceano iniziano ad affollarsi di surfisti.

La cosa più divertente, però, è stata vedere Alina guidare.

Figlia di un ingeniere Audi, sempre vissuta nella cittadina dove l’azienda ha il suo polo principale di produzione, abituata a una nazione dove in autostrada non ci sono limiti di velocità, penso di non aver mai visto una donna così aggressiva al volante, guidare dietro un vecchio pick-up che stava andando a 55 km/h su una strada il cui limite era 60.

Qui quei simpatici cartelli rotondi, bianchi con la striscia rossa, con dentro uno strano numero, sempre maledettamente troppo piccolo, non sono delle semplici decorazioni molto natalizie ai lati della strada. Tutti li osservano scrupolosamente.

 

Il rispetto per gli artisti in generale e per i cantanti di strada è comunque altissimo qui in Australia. Sabato pomeriggio, vicino ad un piccolo bar della zona commerciale di Newcastle, dove eravamo seduti oziosamente a sorseggiare un cappuccino, due ragazzi hanno iniziato a suonare e cantare in mezzo alla strada. Immediatamente la musica del bar e di tutti i negozi circostanti si è abbassata, diventando quasi impercettibile e lasciando spazio ai due giovani per esprimersi al meglio.

Per alcuni aspetti (amicizia, ospitalità, rispetto per gli artisti), con soli 200 anni di storia alle loro spalle, gli Australiani hanno una cultura di gran lunga superiore rispetto a un paese come il nostro che di anni alle spalle ne ha migliaia.

you are a legend!


Sarà capitato a tutti almeno una volta nella vita di uscire una Domenica sera per un veloce aperitivo con un’amica alle cinque e mezza del pomeriggio con giusti giusti quindici dollari per due birre e qualcosa da sgranocchiare e tornare a casa all’una dopo aver bevuto 6-7 birre, essersi abbuffati come un bue e con 135 dollari in tasca.

Questo è quello che è capitato a grandi linee a me e alla mia ex-collega Alina in Musswelbrook, ridente cittadina dell’outback australiano di 23,500 abitanti tra le miniere e le fattorie dell’Hunter Valley.

Serata delle grandi occasioni al pub di fronte alla stazione, dove nel piccolo retro del locale si stava esibendo un duo chitarra-voce, mentre, tra i fiumi di birra normalmente ingurgitati dagli australiani, tipo sagra del paese, erano serviti, in cucina, pollo, salamelle, e via dicendo.

Se sei una faccia sconosciuta in un paese così e entri nel locale con una biondona di un metro e ottanta sicuramente non puoi sperare di rimanere inosservato. E così mentre prendevamo posto nell’ultima panchina infondo per sorseggiare la nostra birra e goderci un quarto d’ora di musica non troppo male, ecco che da un tavolo di quattro ragazzi spunta fuori la copia cattiva e tatuata di Justin Timberlake: “Hey guys! Would you like to join us?”

Lo “sliding doors”. Non trovammo parole per rifiutare.

Quattro minatori in libera uscita dopo 8 ore di lavoro, ragazzi tra i 26 e i 30 anni che come molti sognano qui sono riusciti a entrare nel dorato mondo delle miniere australiane. Perché qui i minatori guadagnano cifre spropositate. 600 dollari al giorno (circa 500 euro con il cambio attuale), con 4 giorni di pausa ogni 10 giorni di lavoro. E questa deve essere la paga media, anche per quelli che, detto con le loro parole, “puliscono i cessi”.

Ci eravamo appena seduti al tavolo con ricchi giovani ventenni il cui unico modo di passare il tempo è quello di spendere più soldi possibili al pub con gli amici.

Non appena saputo il nostro stipendio nella farm (per guadagnare ciò che guadagnano loro in un giorno al netto io devo lavorare 15 giorni) le birre hanno iniziato a piovere sul bancone senza neanche sapere da che parte venissero. Probabilmente fino a quel momento il merito di tutto era di Alina, ma poi a lei è venuto in mente, proprio mentre la band era in pausa-cena, che io canto e suono la chitarra. E così in cinque secondi, mi sono ritrovato catapultato su un palco sperduto dell’Outback australiano a cantare When you say nothing at all, colonna sonora del celeberrimo film Notthing Hill, di Ronald Keating, celeberrimo cantante australiano se non altro per il fatto che è il giudice di punta dell’X FACTOR locale.

“Another one, italian!” “You rock!!!”

Se fosse stato per loro sarei ancora lì a cantare su quel palco.

“You’re a legend, mate! The italian legend!” questo è stato il coro unanime dei miei nuovi amici, dopo mezz’ora di esibizione e dopo, penso, la decima birra, mentre tiravano fuori dalle tasche pezzi da dieci, venti dollari e me li mettevano tra le mani, dicendo “te li meriti”, “stasera ti offriamo tutto noi”, “non preoccuparti della macchina, bevi, goditi la serata, e puoi stare a dormire da noi”.

Dopo i complimenti del proprietario del locale, altri soldi da un elettricista e da qualcun altro, e un bambino simpaticissimo che è passato di fianco salutando con la mano e sorridendo “I see you playing, I see you playing!”, dopo fiumi di birra, (che intanto si era trasformata a poco a poco in rum), dopo capriole, verticali, dolphins  sulla piccola pista da ballo, si decide (o meglio loro decidevano, noi li seguivamo. Il che fa un po’ pecoroni, ma qualcosa devo aver assorbito lavorando ogni giorno con quegli animali) abbiamo cambiato pub per ingozzarci di hamburgers e patatine.

Il problema principale è che loro dovevano mangiare il più possibile in quanto il giorno dopo, al lavoro, come ogni mattina, avrebbero avuto la “prova del palloncino” per accedere alla miniera e il limite di tolleranza è molto rigido: zero.

Ma il vero problema è che, per quanto bravissimi ragazzi, sono sempre minatori ubriachi  abituati a lavorare 11 ore al giorno tra soli uomini. Così Alina è venuta da me e mi ha detto:

“Mi raccomando, tu mi devi proteggere.”

Tre su quattro erano ex giocatori di rugby o Football, il più basso era alto un metro e novanta, e un paio di loro avevano i muscoli delle braccia grandi come entrambe le mie cosce.

“Va bene! Vediamo quello che possiamo fare!”

E così a fine serata, nove e un quarto di sera, ci siamo fatti ospitare dal più piccolino fisicamente, o almeno quello contro cui avrei avuto almeno la possibilità di resistere una decina di secondi se fosse successo qualcosa.

Ma era una precauzione assolutamente inutile. Non ce ne sarebbe mai stato bisogno. Dopo averci offerto tutto e di più, trattati come amici di una vita, (o come “una leggenda”), ci è stato offerto anche un letto e una televisione per darmi il tempo di smaltire l’alcol in corpo e poter guidare.

Ma cosa ci fanno con tutti quei soldi questi ragazzi?

Il ragazzo che ci ha ospitato l’anno scorso è partito per il Sud America e ha girato per 9 mesi, lavorando per sfizio solo due giorni, girando dappertutto e tornando con ancora qualche risparmio.

Un altro, invece, ha deciso di vivere quattro settimane “da Re”, tra hotel, party di lusso, casinò.

“Ne è valsa la pena?”

“I don’t know. At least I have a lot of stories to tell”.

La parola “risparmio” non esiste nel loro vocabolario.

 

Sabato, invece, siamo andati a Newcastle, che nella geografia australiana è sull’oceano Pacifico vicino a Toronto, a un’oretta di macchina da Sydney e a due ore e mezza da qui, a goderci il primo caldo torrido della stagione. L’estate qui, infatti, inizia Sabato prossimo, il primo Dicembre, e le onde dell’oceano iniziano ad affollarsi di surfisti.

La cosa più divertente, però, è stata vedere Alina guidare.

Figlia di un ingeniere Audi, sempre vissuta nella cittadina dove l’azienda ha il suo polo principale di produzione, abituata a una nazione dove in autostrada non ci sono limiti di velocità, penso di non aver mai visto una donna così aggressiva al volante, guidare dietro un vecchio pick-up che stava andando a 55 km/h su una strada il cui limite era 60.

Qui quei simpatici cartelli rotondi, bianchi con la striscia rossa, con dentro uno strano numero, sempre maledettamente troppo piccolo, non sono delle semplici decorazioni molto natalizie ai lati della strada. Tutti li osservano scrupolosamente.

 

Il rispetto per gli artisti in generale e per i cantanti di strada è comunque altissimo qui in Australia. Sabato pomeriggio, vicino ad un piccolo bar della zona commerciale di Newcastle, dove eravamo seduti oziosamente a sorseggiare un cappuccino, due ragazzi hanno iniziato a suonare e cantare in mezzo alla strada. Immediatamente la musica del bar e di tutti i negozi circostanti si è abbassata, diventando quasi impercettibile e lasciando spazio ai due giovani per esprimersi al meglio.

Per alcuni aspetti (amicizia, ospitalità, rispetto per gli artisti), con soli 200 anni di storia alle loro spalle, gli Australiani hanno una cultura di gran lunga superiore rispetto a un paese come il nostro che di anni alle spalle ne ha migliaia.

martedì 20 novembre 2012

una lenta filosofica giornata


Certi Lunedì sarebbero da incorniciare. Lunedì soft, che passano leggeri come le nuvole, spinte dal sussurro sonnacchioso del weekend.

Certo la sveglia suona sempre alle 6.20, mentre l’arancione del sole si sta appena appena scolorando, ma dentro la cucina ti aspetta una gigantesca fetta di pane e Nutella (made in Australia) e una tazza di thè fumante, che sembra si faccia da sola da quanto è comodo il bollitore elettrico.

Verso le 7, dopo essersi infilati pigramente i mitici scarponi cinesi da 50 dollari ancora miracolosamente intatti, si parte con il quad per il giro del rifornimento delle truppe: corns per i rams, frumento o qualcosa del genere per i puledrini e le loro mamme.

Se si esce indenni dall’imboscata dei pecoroni che mi aspettano ogni mattina davanti alla porta della mia camera, sapendo da dove viene il cibo, per le sette e mezza si è pronti per la riunione alla Station con il sorridente “Good morning Gabe!” di Frank, Kev, e Fos. (sono sempre il primo ad arrivare. Ciò per chi mi conosce è un cambiamento epocale.)

Oggi, dopo la pioggia di Venerdì, giornata di pulizie e riparazioni.

Innanzitutto quella del quad che ho fatto precipitare giù dal pendio settimana scorsa. Lavato, tirato a lucido, caricato sul retro del pick-up, e pronto per essere spedito all’officina della città.

Task 2 sollevare la gabbia metallica per il trasporto degli animali dal rimorchio del TIR. Lavoro abbastanza semplice fatto usando due tubi metallici che, inseriti in quattro piedistalli, passano da una parte all’altra della gabbia immobilizzandola. Così questa, abbassando le sospensioni del camion, rimane sollevata e il rimorchio resta libero, senza più alcuna copertura. (due righe per spiegare 40 minuti di lavoro).

Dopo lo smoke (la pausa di metà mattina), una bella tazza di caffè e i cracker burro e fantasia, verso le 10.30 io e Kev partiamo con la mitica Auto blu alla ricerca delle falle nelle recinzioni ai confini della proprietà.

Prima di tutto vorrei provare a descrivere la nostra AutoBlu, che sicuramente non ha nulla da invidiare alle sue colleghe più famose destinate (giustamente o meno) ai politici italiani.

Innanzitutto è un pick-up che non si usa quasi mai, ma dato che il quad è in riparazione e l’altra macchina ha una falla gigantesca nel radiatore, è stato rimesso in servizio, nonostante probabilmente sia stato messo per la prima volta in moto da Ford in persona.

Senza clacson, con gli specchietti rotti, i sedili sfondati, il cambio che va per conto suo, la porta che non si chiude, è un modello che farebbe concorrenza alla Subaru SV di Aldo, Giovanni e Giacomo. Con cotanta auto, la cui velocità varia, secondo il tachimetro, da 0 a 180 in mezzo secondo (miracolo della meccanica) ci siamo avventurati per le colline di Rossgole, ai confini della proprietà.

Il motivo è semplice. Le pecore del vicino si divertono ogni tanto a sconfinare per i nostri paddock, sfruttando le buche scavate dai canguri sotto le recinzioni e qualche filo che con l’andare del tempo si rompe. “Sono furbe, sono tante e sono organizzate!”.

Ma controllando una recinzione di una decina di chilometri, abbiamo trovato fondamentalmente solo tre buchi, e così due ore e mezza sono volate sobbalzando allegramente sul sedile dell’autoblu, rigorosamente senza sospensioni e servosterzo.

Mezzogiorno: Lunch time. Lasagne, due uova con un po’ di formaggio, aprire il pollaio per lasciare gironzolare le galline un po’ per il backyard, raccogliere le solite 7-8 uova appena covate, and that’s it, pronti all’azione.

Azione non molto spumeggiante today: Pomeriggio passato interamente a tagliare gli alberi e i rami danneggiati dal temporale e a raccogliere quelli caduti per terra. Lavoro, il mio, non molto difficile, in quanto gran parte del lavoro è stato svolto dal super nuovo trattore Fiammeggiante modello Puma, con un manuale d’istruzioni pari a quello di Anatomia di uno studente di Medicina.

Così dopo la solita pausa caffè delle 3 e mezza, e dopo aver ripulito chilometri di proprietà, alle 5 e mezza mentre il solito vento freddo della sera si stava alzando, montato sul quad con i secchi pieni dei corn della mattina per i rams, sono tornato a casina.

Ore 19.00 come al solito la cena.

Ma prima…

I Kakatooa (credo si scriva così) sono degli uccelli bellissimi. Bianchi come la neve, con delle piume finissime che si colorano dei raggi del tramonto, e una cresta gialla fluorescente da fare invidia ai punkettoni più estremi. In Australia ci sono degli animali favolosi che fanno i versi più strani del mondo. Il Kakatooa per quanto uno di questi, gracchia e ha la brutta abitudine di emigrare nel giardino di casa Bragg ogni estate appollaiandosi sull’albero sopra i fili della biancheria, in uno stormo pronto a bombardare, scacazzando qua e là e abbattendo letteralmente rami su rami.

Così è iniziata ufficialmente la stagione de “il tiro al piccione”. Un fucile da caccia normalissimo, Merberg INT’L 82, qualcosa del genere, con una sola canna, e un mirino spettacolare da gioco della playstation, con cui fallire è praticamente impossibile, anche nell’oscurità.

Ci si apposta nel portichetto vicino alla porta di casa. Silenziosi(ma poco importa, dal baccano che fanno lassù sui rami non si accorgerebbero di nulla) si imbraccia il fucile, si prende la mira e booom!

Come coriandoli bianchi lanciati in aria da un bambino, gli uccelli si dileguano velocemente dai loro rami, tutti, eccetto uno, che volteggiando in cerchi sempre più piccoli, lentamente si schianta al suolo.  Il piumaggio bianco non lascia intravedere la ferita mortale. Non c’è traccia di sangue. Solo la morbidezza e la bellezza delle piume che ricoprono una carne, neanche tanto buona da mangiare, e che aspetta solo di essere bruciata dall’inceneritore.

Tutto sembra così inevitabile nel ciclo della natura di Rossgole.

Tutto vive, si nutre, parla, grida, corre, vola, e poi in un istante si ferma. E mentre si ferma, Tutto continua come se niente di fosse fermato. Il fumo che viene dal cilindro di cemento è incessante e ha sempre bisogno di legna. Legna che era di un bellissimo eucalipto e che ora è dispersa in mezzo alle sterpaglie di un paddock. Sterpaglia brucata da un piccolo agnellino che hai tenuto tra le braccia e di cui hai sentito battere il cuore, e il cui fegato ora è lì deliziosamente nel tuo piatto con le patate e le zucchine enormi dell’orto appena dietro il giardino.

E ogni sera il tramonto è bello come la sera prima, e ogni sera il vento continua a soffiare, spargendo la cenere sulla terra e le mosche continuano a ronzare e ronzare e anche se ne schiacci una, dieci, cento, ce ne sono sempre altrettante appollaiate sulla tua spalla.

Tutto ha un suo senso al di là di quello che la mente o il cuore dell’uomo gli ha dato. Tutto si compone di minuscoli niente. Tutto è vita e tutto è cenere.

 

Lavorare in farm non è poi così male, anzi, sembra essere una bella vita.

Mentre tornavo verso la mia stanza sul mio quad, alle 20.30, dopo la cena, pensavo in mezzo a tutta questa terra sconfinata che uno degli svantaggi è la solitudine.

Forse a vent’anni. Ma a quaranta, con una moglie, una casa, due figli, il mercoledì a giocare a tennis e il weekend sulle spiagge di Sydney (nonostante le 3 ore di macchina), si è poi così soli?

Infondo mi domando se non sia lo stesso in città. Hayley e Frank ogni settimana hanno qualcuno a cena o vanno fuori a cena da qualche amico. In città spesso capita una volta ogni mese.

E gli amici, beh, le cose si sa come vanno. Gli amici ci sono ogni giorno finché non trovano la fidanzata e finché fai parte della loro scuola o del loro lavoro. Per il resto sono soltanto cene e birre, e racconti di settimane o mesi passati a non vedersi. O almeno così è sempre successo nel piccolo quartiere di città dove sono cresciuto e così penso sia l’andamento normale della vita.

In sei settimane, non c’è stato giorno che sono tornato a casa prima dell’orario di lavoro perché non c’era niente da fare, e anzi spesso sono fortunato se alle 5.40 sono sotto la doccia, pensando che un altro giorno è già volato via. Anche in giorni come questi Easy Monday di pulizie c’è qualcosa da fare. Quindi neanche si può dire che ci si annoia, o meglio, non ci si annoia più che in altri lavori.

Sarà, ma certe volte, in mezzo a milioni di persone e mille cose da fare ci si sente più soli e più annoiati che in uno yard con una ventina di mucche…

venerdì 16 novembre 2012

Vita da cani

Vita da cani è quella che ha fatto Kim nelle sue prime due settimane di farm.
Kim è una ragazza irlandese che ho conosciuto Sabato scorso quando sono andato a trovare Alina, la mia ex-collega, nel nuovo allevamento di cavalli da corsa in cui adesso lavora, non molto distante da qui.
La maggior parte dei backpackers che si addentrano nella terra australiana per riuscire a fare il loro 88 giorni di farm, non è destinata all’allevamento o alle numerose miniere sparse qua e là, ma alla fruit picking.
“A rough slave’s job”. Più o meno è stato questo il riassunto in una sola frase di tutta l’esperienza in una gigantesca coltivazione di fragole. Piccole piantine divise in lines di circa un metro ciascuna su cui stare chinati per circa una decina di ore al giorno per la modica cifra di 9 cents al metro. In totale 16 dollari in due settimane. Detto all’australiana il prezzo di 4-5 chili di mele o se preferite 8 bottiglie d’acqua naturale.
Ovviamente ci sono farm di fruit picking che per quanto massacranti per la propria spina dorsale e per il proprio morale fruttano leggermente di più e danno comunque l’opportunità di conoscere tanti altri ragazzi da tutto il mondo (non come nell’isolamento della collina di Rossgole). Ma molti posti marciano sul tentativo disperato di quasi tutti di ottenere il secondo anno di visto e tra i backpackers si narrano storie di storie di ragazzi e ragazze che hanno passato giorni davvero duri o che se la sono vista davvero brutta.
Un po’ come la mia vita da cane, mentre ( o ero a questo punto) tentavo di radunare tutte insieme le mucche e i vitelli del paddock West Gordon.  E infilati in un piccolo canyon e poi in una piccola gola, e risali i torrenti e sballonzola tra le rocce, va’ a finire che se non hai molta esperienza rischi di volare per terra. Ed è proprio quello che è accaduto Martedì, mentre cercavo di venire fuori da una piccola gola a “V” nel cui fondo, sa Dio come, ero capitato seguendo due mucche ribelli.
Dritto verso la salita! E ce l’avevo quasi fatta e ce l’avrei fatta del tutto se nascosto tra l’erba non ci fosse stato un grosso pezzo di legno che mi ha fatto girare il manubrio. Appena un poco di traverso, in un secondo il quad si è sollevato su due ruote e si è ribaltato. Per fortuna di lato.
Grazie a Dio quelle piccole macchinine sono state progettate abbastanza bene, dato che il manubrio e il back sono leggermente rialzati rispetto alla sella.  Cadendo lateralmente, la motocicletta ha iniziato a rotolare sopra di me, ma grazie a quel piccolo spazio sono riuscito innanzitutto a salvare le gambe e poi con una mano a evitare di farmi arrivare la sella dritta sul setto nasale. Mentre ancora leggermente scioccato, guardando le mie mani miracolosamente intatte, pensavo che avrei potuto prendere un bel 10 all’accademia di formazione per gli Stuntmen, (e perfino la lode a quella dei pirla), il quad è ruzzolato sempre più velocemente fino al fondo della “V” fermando la sua corsa, dopo essersi cappottato sei-sette volte sul fianco.
Macchine robustissime: meccanica totalmente intatta, muso e luci come nuovi, il problema principale è che il dietro si è leggermente stortato, ma senza intaccare minimamente la stabilità di marcia del veicolo.
Non so come e per quale miracolo del cielo io lavori ancora qui e non sia stato licenziato in tronco, però penso che per questo mese il mio stipendio sarà devoluto alla riparazione dei danni. In compenso, volendo tranquillizzare a casa, ho solo sbucciature varie ed eventuali sui gomiti, su tutta la schiena, sulle ginocchia, e una caviglia malconcia che, però, si è già sgonfiata.
Ma fossero solo questi i problemi del mastering delle mucche! Insieme a loro, infatti, viaggia anche il toro. I tori qui sono dei veri e propri bisonti, stupidi e de-cornutizzati, enormi ammassi di carne che non fanno altro che muggire e cercare di evadere dai paddock a cui sono stati assegnati, rompendo fences  e ammaccando cancelli. Ma d’altra parte si sa: le mucche del vicino sono sempre le più gnocche e ogni toro non si accontenta delle 40 e passa vacche con cui deve copulare in circa una decina di settimane.
Animali assolutamente territoriali, quando sono da soli con il loro arem sono dei paciocconi beati e tranquilli. Negli yard, quando vengono raccolti insieme alle mucche e ai vitelli, non creano mai problemi: i figli sono affari delle madri, di madri ce ne sono 40 diverse ogni anno, quindi la loro filosofia è quella del menefreghismo più totale.
Oggi però, sotto il diluvio universale, stavamo muovendo una cattle (=mandria) da un paddock lontano per poter iniziare subito Lunedì con il branding dei circa 300 vitellini rimasti. I paddocks dell’immensa parte Sud-Ovest della tenuta fluiscono tutti nella Line una striscia di terra che dalla Station arriva fino ai confini della proprietà. Passando per di là, molti animali curiosi si avvicinano alle rispettive recinzioni per guardare la scena.
Tutto tranquillo finché il toro nero che era con la nostra cattle non ha incontrato lo sguardo del toro bianco parcheggiato dietro la fence di “nonmiricordoancorailnomedituttiiquarantadiversipaddockdellatenuta”.
Strano modo hanno i tori per sfidarsi. Prima di tutto si inchiodano ed è quasi impossibile farli muovere dalla loro posizione. Poi con la zampa anteriore iniziano a scavare per terra, respirando sempre più affannosamente. Quando l’avversario risponde allo stesso modo, i due contendenti abbassano la testa continuandosi a guardare intensamente, aumentando il respiro e scavando più freneticamente. Questa fase può andare avanti anche diversi minuti, finché, quasi contemporaneamente, uno si lancia contro l’altro schiantandosi testa contro testa.
Su un piccolo quad, allora, non si può fare molto, perché il toro inizia a sfidare chiunque gli capiti a tiro e con una testata è capace di ribaltarti. ( “mò basta però!”)
Così Fos ha dovuto prendere il pick-up da lavoro e affrontare il toro con il paraurti. Uno scontro epico, in cui nessuno dei due contendenti andava tanto per il sottile. Fos continuava letteralmente a investire l’animale che rispondeva a testate, cercando di divincolarsi per andare dal suo vero avversario, l’enorme bestione bianco che continuava a muggire e a raschiare il terreno con la zampa dietro di noi.
Dieci minuti di dura lotta portata trionfalmente a termine, con il povero Tic che da bravo cane da lavoro, cercava, abbaiando, di far rientrare il toro nei ranghi, ma per quando temerario, doveva fare i conti con le proporzioni sfavorevoli ( 1 a 30 almeno) e  ogni volta che il bestione puntava la testa verso di lui, non poteva far altro che rintanarsi dietro la mia motocicletta piagnucolando spaventato.
Vita da cani è anche quella delle lepri che si nascondono nelle tubature di scorta parcheggiati vicino alla mia stanza. Mercoledì, infatti, ho potuto assistere ad una singolare caccia alla lepre. Protagonisti io, Frank e suo padre e i tre piccoli cagnolini domestici (due spanne massimo di lunghezza) Dash, Minnie e Jack.
Guardando in tutti i tubi, appena se ne trova uno in cui si vede un piccolo leprottino, si prendono due bastoni e si copre l’estremità del primo con il fondo in una bottiglia di plastica, esattamente del diametro del tubo. And that’s it! Molto semplice e artigianale come cosa: Frank da una parte infilava i bastoni nei tub, dall’altra Albert, suo padre, aspettava che l’animale fosse spinto fuori e afferratolo velocemente, con un rapido movimento delle mani lo uccideva tirandogli il collo, lasciandolo i tre cagnetti affamati a lottare per la preda.
Finale thriller quando Minnie ha iniziato a ciondolare e a camminare perdendo l’equilibrio. Subito portata verso la città per paura di un morso di un serpente, “it turns out to be just an heating”. Finali sempre da favola a Rossgole.
Vita da cani... chi ha coniato questa espressione sicuramente non è mai stato qui, e sicuramente non ha mai conosciuto questi Minnie e Dash, i preferiti dal padrone, liberi di andare dove vogliono, con una cuccetta morbida e al caldo in casa, rispettati  e temuti come dei capetti mafiosi dagli altri cani grandi il triplo, addirittura ammessi nello yard durante il branding (nonostante siano un grande intralcio per un lavoro che già rischiede grande attenzione e velocità)per permettere loro la degustazione dei testicoli di torello ancora caldi, appena strappati dall’animale. O almeno questo vale per Dash, Minnie non entra più dove ci sono le mucche. Una volta ha preso un calcione che l’ha quasi messa k.o…
E di calcioni ne prendono e ne rischiano Cif, Tick, Bess, Ella, Max, George, Sam, Scott e Redclif, quando saltano dentro i corridoi di staccionata tra le gambe delle pecore per farle avanzare, o quando corrono instancabili attorno alla mandria o al gregge per tenere uniti gli animali. Sono loro infondo i veri pastori. Sono loro che rendono il lavoro più facile, intelligenti  e diligenti per quanto a volte, giocherelloni o troppo volenterosi, si trovino anche loro nel posto sbagliato (di fronte: tutti gli animali si conducono spingendoli da dietro). Ma per un paio di coccole e una ciotolina di croccantini dal proprio padrone ucciderebbero. Ucciderebbero come Boss, il cane da caccia al maiale di Kevin, che l’altra sera è tornato con il muso mezzo distrutto dalla zampata della preda.
E io li posso capire perché passo la gran parte dei giorni a saltare su e giù dalle recinzioni, a camminare e a correre dietro ai gregge (infatti, quando c’è Frank nei paraggi non posso più guidare il quad nei paddocks), a  guardare negli occhi i vitelli spaventati, incastrato tra di loro in due-tre metri quadrati, mentre iniziano a scalciare e a saltare impazziti.
Questa è proprio e letteralmente una vita da cani.
 
….
 
I raggi del sole non sono qualcosa di inventato dai disegni dei bambini.
Li puoi vedere espandersi verso di te, sottili come piccole lame squadrate, tagliare in piccoli batuffolini sfilacciati la lana delle nuvole, a rallentatore, sopra la tua testa.
Scrivere per far vedere, dipingere per raccontare. Poco importa la forma, ciò che si imprime sulla retina in quel secondo non ha linguaggio per essere comunicato, se non quello di essere lì, presente, tutt’uno con il leggero venticello che ti accarezza i vestiti portando con sé le voci di tutti gli animali che invocano il sole come a dirgli “non andare! Aspetta ancora un po’…”
Da est a ovest ogni centimetro di cielo ha un pigmento diverso, un mosaico di piccole tessere che conducono dolcemente gli occhi verso la linea delle colline, sopra cui aleggia compatta la lontana nube bianca, rimasuglio della tempesta del pomeriggio. Se la si fissa per qualche secondo, prima che il sole bruci i tuoi iridi, si può capire come gli antichi e gli scrittori di favole possano aver pensato che gli Dei e un giorno anche gli uomini potessero costruirci sopra castelli e città.
Sedersi e osservare il tramonto, non c’è miglior modo di finire una settimana.
 

venerdì 9 novembre 2012

Oh cavallina, cavallina storna...


Grande nazione di cavalli e “equinofili” l’Australia.
Martedì scorso quasi centomila persone erano radunate all’ippodromo di Melbourne per la finale della Melbourne Cup, una delle più famose horse races del mondo. Una data segnata su ogni calendario, un evento che come la finale di Champions league di calcio in Europa calamita un sacco di persone davanti alla televisione.
Ha vinto un fantino di Hong Kong, su un cavallo australiano addestrato da un italiano. Più tipico di così!

Pensavo sinceramente di aver scritto ormai tutto per questa settimana, che nulla di più poteva accadere. Guidavo il mio quad su quei cinque minuti di strada sterrata che separano la mia stanza e la casa padronale dove ci si riunisce ogni sera per la cena. L’imbrunire rendeva come al solito il paesaggio di Rossgole quasi surreale, gli alberi dipingevano di nero i loro profili in lontananza mentre il vento allungava le nuvole diluendo il colore blu del cielo nell’arancio rovente dell’ultimo spicchio di sole dietro la collina.
Non so cosa mi abbia fatto girare la testa verso est, ma laggiù, nel paddock dei puledri appena nati, erano parcheggiati due utes.
Fos questo pomeriggio aveva portato una cattiva notizia. La cavallina appena nata qualche giorno fa non sembrava in grandissime condizioni, ma non essendo esperto in materia, aveva preferito chiamare Hayley e Frank per chiedere un’opinione.  Per fortuna dopo tre stalloncini consecutivi era nata una femmina. I maschi dei cavalli, alcune razze, sono meglio per le corse. Le femmine, invece, vengono usate nel Polo, lo sport più praticato qui nell’Hunter Valley.

Il primo ute era sicuramente quello di Frank. Ma a fianco in lontananza c’erano altre due figure, vicino ad una macchina color argento.  Erano i verterinari, marito e moglie, amici di famiglia, accorsi non appena contattati e non appena appresi i sintomi che non facevano prevedere nulla di buono. Le urgenze per i veterinari, con tutti gli animali che girano qua intorno, sono all’ordine del giorno qui (a volte anche all’ordine della notte).

Il piccolo corpicino era disteso a terra, già circondato da qualche mosca, come al solito, impertinente. La madre girava lì attorno, non troppo da vicino,  faceva a volte finta di niente, brucava l’erba, ma intanto girava la testa verso di noi e a volte si avvicinava giusto per dare qualche amorevole leccatina alla piccola. Come una donna stava lì, lasciando che i dottori visitassero la figliola, e da lontano sembrava dire “Vedrai, gli uomini. Loro sistemano sempre tutto, non temere. Ne ho visti di uomini, hanno sempre un rimedio per tutto”.

“Incredibly Unlucky”. Il veterinario con le braccia conserte stava finendo di riepilogare la situazione a Frank.
Quando il sangue di uno stallone non è compatibile con il sangue di una cavalla, quest’ultima sviluppa degli anticorpi appositi, che di solito sono innocui per il puledro. Capita, rarissimamente, che nelle milioni combinazioni di geni, il padre sia negativo e la madre positiva a qualcosa che ci deve essere scritto in qualche libro di medicina per animali avanzata. Così che gli anticorpi della madre contenuti del Colostrum, il primo latte materno, invece di proteggere il nuovo corpicino, attaccano i globuli rossi e li distruggono.

Che strana la natura. La stessa fonte di vita distrugge la vita stessa che ha creato.
Era stupido chiedere a che cosa servisse quella puntura dritta nel collo della puledra. La chiamano “green sleeping”, un sonno profondissimo dove i confini con la morte sbiadiscono come le figure nere degli alberi nel cielo sempre più scuro dopo il tramonto.

Chissà se la mamma era abbastanza intelligente da capire che la sua piccola non stava semplicemente dormendo. Chissà quanto è traumatica la morte di una piccola per un cavallo o per un animale in generale. D’altra parte le pecore e le mucche sembrano quasi non riconoscere i propri figli in mezzo alla moltitudine di agnellini, è come se i loro figli fossero in comune nella mandria e non appartenessero più a una madre, ma a tante.

Il tramonto di Rossgole si è improvvisamente sfuocato dietro ai miei occhiali, giusto per un attimo. La madre era lì vicino alla piccola, le macchine erano ormai già lontane. La puledrina lì distesa a terra ancora respirava.  E il suo respiro era come una piccola brezza che pian piano portava via la sua anima, o qualcosa del genere, e la portava lontano, lassù, per conservarla preziosa fino al nuovo giorno, quando sarebbe ritornata sotto qualsiasi altra forma.
D’altra parte gli scienziati dicono “Nulla si crea e nulla si distrugge”, i filosofi “Tutto scorre”.
C’è una grande verità nascosta nelle profondità delle onde di queste colline. Lo spirito la intuisce, ma non la dice….

Anatomia di una pecora in un nuvolo di mosche


Non avrei mai pensato che alla fine della quinta settimana di farm io potessi dire che probabilmente un’ora non basta per raccontare tutto quello che è successo questa settimana. Infondo il paesaggio è sempre quello, ogni mattina si incontrano le solite 4-5 persone che abitano queste centinaia e centinaia di chilometri quadrati.
Eppure da dove cominciare? Riassumiamo:
 
L’ultima volta ho parlato della marchiatura dei vitellini. Lavoro durissimo. Prima di tutto perché essendo l’addetto a mantenere la zampa posteriore del piccolo toro che viene castrato sono assolutamente sotto tiro di “cagata a spruzzo” (cosa che puntualmente avviene), secondo perché è vero che mi avevano detto che i vitellini possono saltare, ma non pensavo potessero arrivare a scavalcare un cancello di quasi due metri.
Per questo bisognerebbe dire “salti come un vitello”, non come una rana, o almeno non come quelle piccole ranocchie verdi che infestano il bagno e la tazza del water ogni sera e che si appiccicano alla ceramica, così avvinghiate che neanche lo sciacquone gli fa il solletico.
Due persone ci vogliono per far entrare quei tre o quattro vitelli ribelli di ogni turno, uno che tira la coda, l’altro che si aggrappa alle orecchie.  Dopo una sessantina di vitellini si è a pezzi.
 
Differente, invece, e ancora più pericoloso, è il branding dei piccoli puledrini. Non essendo abituati all’uomo, questi sono molto timorosi e difficili da domare, e sono pronti a scalciare e a correre attorno al piccolo yard dove sono rinchiusi non appena ci si avvicina per più di due metri. Non è un lavoro da tutti, per questo viene chiamato il veterinario con l’attrezzatura specifica, compresa la fiala di Ketamina per riuscirli a mettere knock out (sempre che si riesca a tenerli buoni il tempo di una puntura…).
La marchiatura viene eseguita a freddo (cold branding), perché i cavalli non riescono a reggere la stessa quantità di dolore dei vitelli. Così il ferro viene fatto raffreddare in una bacinella di polistirolo contenente azoto liquido e l’ustione viene causata dal metallo ghiacciato.
Questa proporzione di seguito può dare l’idea della difficoltà e delle differenza di tempo che ci si impiega per marchiare i diversi animali, ( tenendo conto anche del tempo per riuscirli a ingabbiare o nel caso dei cavalli a farli fermare, fattissimi, con la tenta a ciondoloni verso il basso):
Per 200 agnelli- 30 vitelli - forse 1 cavallo.
 
Mercoledì però c’è stato il vero lavoro duro. Più che in senso muscolare, in senso sentimentale: squartare una pecora per ricavarne la carne da mangiare.
La descrizione che segue è abbastanza accurata, quindi a qualcuno può dare fastidio.
Preciso che in cuor mio non me la sono sentita di uccidere la povera pecora e l’ho fatto fare a Kevin, che poi mi ha guidato nelle fasi successive dove sono invece passato all’azione.
Scelta una pecora nel recinto, basandosi sulla coda (“più la coda è paffuta, più la pecora è paffuta”, mai fidarsi di ciò che si vede, infatti, una pecora magra può avere addosso tanta lana), la si solleva e la si porta vicino alla camera dove la sua carcassa verrà appesa: una piccola casetta di fianco all’inceneritore, con due piccole discese in cemento dove l’animale viene adagiato. Con il solito coltellaccio, senza troppi complimenti, segando avanti e indietro si taglia il collo dell’animale tenuto fermo tra le proprie gambe. Mentre il corpo nei successivi due tre minuti continua a dimenarsi nonostante gli occhi spalancati e attoniti dell’animale riflettano già vuoti l’azzurro del cielo (mettiamoci un po’ di poesia, c’è n ‘è un sacco anche qui che non sembra poterci essere), si passa subito alla prima fase che possiamo chiamare “rasatura violenta”. Bisogna infatti togliere tutta la lana e la pelle per arrivare ai muscoli. Partendo dalle gambe con il coltello si fanno dei tagli longitudinali verso il centro del corpo dell’animale, staccando la pelle dalle gambe ossute, stando attenti a lasciare intatti i tendini che vanno dal ginocchio ai piedi (la piccola fessura che si crea tra il perone e il tendine viene usata per appendere successivamente la carcassa). Ogni gamba poi viene segata e spezzata all’altezza del ginocchio e la lana e la pelle letteralmente “strappate” via dal muscolo. Finite le quattro gambe si procede con la pancia e rivoltando l’animale con la schiena.
Una volta spellato definitivamente, con una sega si apre lo sterno.
Il corpo spellato di una pecora è un ritratto anatomico bellissimo e affascinante.. Tutto è ben visibile, tutto è così stranamente simile al corpo umano nei colori e nelle forme: I polmoni rosa, il cuore grande come un pugno, il fegato, il rosso scuro dei muscoli. Forse solo l’intestino, che fa capolino come un enorme BIG BUBBLE al di là della cupola del diaframma attaccata a tutto l’arco costale e alla spina dorsale, è un po’ più scuro e più corto. Ma non c’è molto tempo per soffermarsi a osservare la perfezione che la natura ha messo anche in un animale stupido come la pecora, perché i cani sono subito lì, pronti ad azzannare qualsiasi pezzo cada dalla carcassa, che nel frattempo è stata appesa a testa in giù (la testa mezza mozzata è ancora lì che penzola, ebbene sì).
Aprendo una piccola parentesi sulla stupidità, gli animali ne hanno diversi gradi.
Dalle pecore che pensano di poter sfondare travi di legno a testate, alle mucche che hanno la faccia più idiota della terra mentre ti guardano ragliando il loro “muuuu!” (“muggiscono” non rende l’idea del casino che fanno). Penso che si possano dire i cavalli gli animali più intelligenti quaggiù, se non altro perché sono gli unici che quando defecano alzano la coda e non si scacazzato addosso.
Ma torniamo alla nostra carcassa appesa con lo sterno aperto come la porta di un armadio sulla bellezza delle interiora che vanno fatte fuoriuscire dalla carne. Per staccare l’intestino crasso, purtroppo, l’unico modo è quello di infilare un dito su per l’ano della carcassa, dove puntualmente si trova una manciata di quelle simpatiche palline di cacca di pecora (a dire la verità è davvero una cacca simpatica: incredibilmente perfetta nella rotondità, non resta attaccata alle mani e non sporca)
Il diaframma viene tagliato via con il coltello mentre finalmente la testa viene staccata del tutto recidendo la trachea (Mannaggia ai cani, non ho fatto in tempo a vedere le corde vocali!).
Il fegato (buonissimo!) è l’unico organo insieme al cuore (dato in pasto ai cani) che viene conservato. Il resto viene buttato insieme alla testa nell’inceneritore.
Ed ecco che la nostra carcassa di pecora è pronta per essere appesa nella nostra cella frigorifera e cucinata per il giorno dopo. Beautiful!
 
La tosatura delle pecore vive segue metodi un po’ differenti, per fortuna, ma anche lì gli animali ne escono malconci e con parecchi graffi.
Oggi, Venerdì, sono arrivati due tosatori professionisti, che in una giornata hanno tosato la bellezza di 116 rams (pecoroni maschio usati per soddisfare le più di 5000 pecore femmina della tenuta. Bella vita!).
La tosatura è un lavoro durissimo. Chinati per dieci ore di fila, con l’animale da tosare tra le gambe (che non è che sia leggerissimo, diciamo).
Una cordicella attiva e disattiva un piccolo motorino posizionato a circa tre metri dal suolo,  che dà l’impulso elettrico per far funzionare un rasoio elettrico molto simile a quello che gli uomini usano per farsi la barba.
Riconoscere la qualità, dividere la lana ottenuta e impacchettarla non è assolutamente un lavoro facile e richiede una grande esperienza. Una volta rasata tutta la pecora, dopo che si è messa da una parte la lana della pancia e gli scarti della lana della testa e del sedere, si stende l’enorme “pelliccia” su un tavolo enorme fatto di piccole aste di legno o di metallo distanti tra loro in modo da creare fessure di 1-2 cm in cui vengono fatte cadere tutte le ciocche sporche o non buone. Controllata tutta questa lana, la si divide in compartimenti diversi a seconda della qualità, che dipende, da quello che ho capito, da quanto siano e meno uniti i filamenti interni che la compongono.
Io che facevo in tutto questo? Pulivo per terra raccogliendo gli scarti (Lox) in una busta apposita. Un lavoro immane considerando i ciocchi e chiocchettini che si spargono ovunque!
 
By the way il meteo qui non è stato molto clemente in questi giorni (o forse sì, dipende dai punti di vista). Questa mattina, aperta la porta della mia stanza, tutto non era poi così diverso dal Novembre nebbioso e freddo di Milano. L’unica differenza è che in poco più di tre ore si è passati da 5 gradi delle sette di mattina ai 30 delle 10:30.
Certi lavori, come il branding, non si possono fare sotto la pioggia, così aspettando il temporale di ieri sera e quello che dovevaarrivarestaseramacheallafinenonèarrivatopiù, sono stato reclutato come giardiniere nella parte di proprietà a valle della gigantesca collina di Rossgole, dove vivono in pensione il papà e la mamma di Frank. Questa parte è chiamata Cambria o, come io l’ho soprannominata, “l’inferno delle mosche”, l’animale più fastidioso e terribile di tutto il pianeta. Trenta sempre addosso, dappertutto, non c’è angolo protetto o che ti possa salvare. Sotto il sole cocente, sollevando con entrambe le mani occupate pesanti pezzi di balle di fieno, con trenta mosche che se apri un attimino la bocca ti finiscono di traverso: il lavoro in campagna può essere il triplo più stressante di quello in città. Veramente, rischi di uscirne pazzo, pazzo esaurito da una mattinata così.
 
E così tutto d’un fiato ho detto tutto. 19.05. La cena dovrebbe essere pronta. Domani giorno di pausa. Nonostante vada a letto ogni sera alle nove, questo lavoro non è proprio a piece of cake…
 
(continua...)