venerdì 26 ottobre 2012

Il principe di Bel Air


Svegliarsi un giorno in una casa bellissima, con una piscina e un giardino ben curato, con una ventina di stanze e un centinaio di finestre che dominano sull'immensa proprietà.
Se non avessi visto Inception ieri sera, penserei che siamo in un sogno.
Frank e Hayley, i padroni di casa, sono andati  Sydney per il weekend a trovare i loro figli di 13 e 14 anni che frequentano la scuola nella metropoli, lontana circa 3 ore da casa. Qui è una cosa molto comune. Lo stesso Frank quando era bambino era andato via di casa all'età di 7 anni. 
Certo qui non soffrono quel problema  che al Tg chiamano dei "mammoni", che vivono coi genitori fino a 30 anni e forse più.
Sta di fatto che, nonostante debba badare a otto cani, quindici galline, tre cavalli e a qualche pecora da sfamare, per un giorno o due gioco a fare il proprietario terriero milionario. 
Settimana prossima sarà purtroppo l'ultima. Mancano due paddock, circa mille agnellini ancora da svezzare, e ancora qualche dolce da scegliere per dessert dopo cena. 
Hayley, infatti, è una bravissima cuoca e soprattutto appassionata nella preparazione dei dolci. Pavalova, mousse al cioccolato, torte, biscotti... 
"One of your best!", questo è il commento di Frank ogni sera, dopo una giornata lunghissima di lavoro e una cena che mette a dura prova i bottoni di ogni camicia. Speriamo un giorno di trovare una moglie-cuoca, è davvero una ricompensa enorme alle fatiche di ogni giornata!

Purtroppo anche nella vita delle pecore c'è un po' di razzismo. Dopo aver constatato che le pecore nere esistono e non sono una leggenda contenuta in qualche proverbio, ho anche appreso che, purtroppo per loro, la loro lana non è vendibile, e quindi possono essere usate soltanto come carne da mangiare, magari con una cucchiaino di Lamb Jam, una specie di marmellata a base di limone e agrumi deliziosa ( very yammy!)fatta apposta per la carne di questo tipo.

Questa settimana abbiamo anche portato in giro nei vari paddock, i trenta tori da monta per la nuova annata dei vitellini. Bestioni enormi, ma incredibilmente mansueti, che nonostante le dimensioni triple, si fanno guidare dalle bastonate dell'uomo e dai piccoli cagnettini, sempre con la solita espressione pacifica, che sembra dire "Ok, ok, basta basta che non mi rompete troppo le scatole..."
Una mucca ha il ciclo ogni 3 settimane; ogni toro ha circa 10 settimane di tempo, 2 cicli per mucca, per fare quello per cui è stato addestrato da Madre Natura; ogni vitellino per nascere ci mette 289 giorni, circa 10 mesi.
Una cosa si impara nella campagna: tutto ha un suo tempo... 

mercoledì 24 ottobre 2012

the wrestler


Un turbinio di pecore risucchiato da un piccolo cancelletto di metallo, un piccolo tornado di lana assorbiuto come l’acqua di un lavandino. I cani abbaiano, mordono, pressano, chiudono ogni via d’uscita alle spalle. I due quad e le due macchine osservano attentamente, muovendosi lentamente in avanti.

2000 pecore sotto la collina si colorano dell’arancio del cielo del tramonto, in un assordante belare e abbaiare, squarciato dalle voci tonanti degli uomini che dirigono i loro fedeli e obbedienti segugi. Uno spettacolo incredibile, di una strana bellezza.

Riunire gli animali nei paddock infiniti di Rossgole non è assolutamente facile, ma è incredibile come tutto venga svolto alla perfezione come nei migliori giuochi di strategia.

Si costeggia la staccionata ( fence in ingelese) si riuniscono le pecore da ogni direzione, semplicemente accompagnandole da dietro, e una volta riunite, inizia la grande e lenta migrazione verso lo yard del landmarking.

Certo, però, che 2000 pecore sono uno spettacolo al pomeriggio e non la mattina dopo. 933 agnellini oggi sono passati dalle nostre grinfie.

Un lavoro molto duro, come ho già detto, ma necessario.

C’era un agnellino, l’altro giorno, non ancora marchiato e già attaccato dai vermi e dalle mosche.  Questi entrano nel tessuto epiteliale fino ai muscoli, moltiplicandosi rapidamente, e corrodendo i muscoli stessi, così che il poverello faceva fatica anche a camminare.  La brutalità del taglio della coda e dei testicoli è sicuramente il male minore, anche perché almeno questi poveri animali non vanno in giro coi pezzi di cacca incrostati al loro di dietro. Anche se sento sempre un certo fastidio laggiù, quando vengono rimossi i genitali… shhh…

Molti piccolini seguono semplicemente le loro mamme, ma certi sono dei veri e propri ribelli. Corrono di qua e di là, sbattendo la testa conto le recinzioni, tentando inutilmente di sfondarle. Per sollevarli da terra al momento del marking bisogna ingaggiare una lotta serrata, a volte prenderli per il collo per farli calmare, stare attenti a quelle strameledette corna che puntualmente si impigliano nella maglietta o che, tipo gancio di un pugile, tentano di metterti knock out con un colpo dal basso ben assestato. E poi sono furbi. Quando vogliono scappare, una volta acchiappati dai cani, si buttano a terra, fingendo di essere morti o svenuti, in modo da intenerire il cacciatore. Ma una volta a due passi da loro, zooom! In piedi come dei razzi e via!  Ne abbiamo persi un paio così in questi giorni.

Mannaggia sono le sette devo andare a mangiare. Allie, la moglie di Frank, è una cuoca eccezionale. Dolci magnifici ogni sera e piatti infiniti. Ma questo lo racconto la prossima volta…

 

giovedì 18 ottobre 2012

The catcher in the paddock


Quante sfumature d’azzurro ha il cielo?
La collina di Rossgole sembra infinita. Le dune sconnesse di sterpaglia ed erbacce si arrotolano come un serpente tra pendii scoscesi e piccole gole, litigando con il cielo per avere un po’ più di spazio per estendere le loro lunghissime braccia lungo l’orizzonte.

E’ impossibile conoscere ogni angolo: ad ogni curva, ad ogni discesa, dopo ogni salita sembra aprirsi un nuovo mondo sempre più vasto. Nonostante in questi giorni abbia girato parecchio attorno per  condurre nei recinti le migliaia di pecore, piccoli punti bianchi che occupano circa il 2 per cento dell’intera tenuta, non sono ancora riuscito a vedere dove tutto questo finisce…

Domani, Venerdì, è l’ultimo giorno della prima delle (ahimè) tre settimane che devo trascorrere qui per il “Lambmarking”. Che cos’è? Un lavoro tutto muscoli e poco cuore.

Composta da Lamb (agnello) e Marking (marchiare), la parola sta ad indicare l’etichettatura e la conta degli agnellini nati durante la metà dell’anno. Si svolge ad Ottobre e a Maggio per circa 3000-4000 agnelli ogni volta.

A ogni agnellino viene applicata sull’orecchio, con una grande pinzatrice, una targhettina di plastica numerata e, qui viene la parte cruenta, vengono tagliati, con un bel coltellaccio, i testicoli e la coda. La prima per ovvie ragioni, la seconda per evitare problemi con delle specie di mosche-sanguisuga, che si attaccano alla coda delle pecore e, succhiandogli il sangue, rischiano di causare malattie e di farle morire.

Che ruolo svolgo io in tutto questo? Per fortuna non quello del “boia mozza code”. Io solo il Catcher.  Rincorro gli agnellini, li acchiappo, li sollevo, gli blocco le gambe posteriori e le incastro in una specie di morsa metallica, dove i poveretti vengono poi sottoposti al trattamento.

Mercoledì erano solo duecento circa, piccoli, di circa 2-3 chili l’uno. Oggi erano lo stesso numero, ma enormi, dai 5 ai penso più di dieci chili. E non è facile, soprattutto perché io non sono mai stato un “Mister muscolo”.

Quando finisce la marchiatura la mia occupazione è quella del giardiniere della mega-villa del proprietario della tenuta in cima alla collina, probabilmente la più bella casa in cui io sia mai entrato.

Anche se non capisco ancora perché io abbia dovuto smontare due balle di fieno per ricoprire la base di tutti gli alberi del giardino e perché la discarica dove ho portato la gigantesca montagna di erbacce strappate sia anche il posto dove tengono quei bestioni enormi dei tori da monta, per il resto anche questo lavoro è bello pesante, soprattutto perché di solito occupa sempre ogni primo pomeriggio, dopo la pausa pranzo mezzogiorno-una. Grazie a Dio il mio cappello da Cowboy di Coonabarabran, nonostante stia assumendo una forma sempre più indefinita a furia di maltrattarlo, fa il suo discreto lavoro, ma comunque per non ustionarmi devo lavorare con la maglia a maniche lunghe… la sauna australiana.

Domani si inizia alle 7 di mattina, ci sono circa un migliaio di agnellini che mi aspettano, per fortuna non sembrano particolarmente grossi. Ma hanno delle piccole cornina belle appuntite.

Ferite di guerra in arrivo…

domenica 14 ottobre 2012

No pets in Australia


Coonabarabran (tanto per cambiare un nome normale) è uno dei tantissimi piccolissimi paesini dell’outback australiano, spuntati quasi per errore in mezzo ad una distesa immensa di silenzio, tra proprietà che superano l’orizzonte e che a volte sono così grandi che neanche il cielo sembra possa contenerle. A sette ore da Sydney, ancora nel cuore dello stato del New South Wales, si capisce già la vastità di una nazione-continente che supera di gran lunga le dimensioni della cara vecchia Europa.

La terra bruciata e la sterpaglia gialla in qualche angolo lasciano il posto quasi per pigrizia di dover riempire tutta questa vastità, a prati e a qualche eucalipto che costeggia la lunghissima strada che porta a Kulaba, la fattoria dove si doveva tenere il corso per i backpackers cittadini che volevano o dovevano, a causa del rinnovo del visto, provare l’esperienza del lavoro in campagna.

Craig, il fattore che ogni settimana tiene il corso per una dozzina di persone, è un tipico uomo dell’outback con il cappello da cowboy e le dita gonfie da anni di duro lavoro. Parla un’inglese difficile da capire, quando deve dare gli ordini usa poche parole e, abituato ad un lavoro veloce ed efficiente, perde facilmente la pazienza. Ma la sera davanti a una (facciamo anche un po’ di più) lattina di birra, diventa, rutto libero a parte, una persona assolutamente più civile.

Il suo umorismo si basa spesso sul terrorizzare simpaticamente i poveri cittadini finiti nel suo corso: scosse elettriche sul sedere, surf sui tronchi che stanno bruciando sul falò, giochi idioti il cui scopo e scagliare un coltello il più vicino possibile ai piedi del proprio compagno o nel mio caso, e devo dire che è stata una delle cose più adrenaliniche della mia vita, mettere un povero disgraziato su un toro e fargli provare un vero e proprio rodeo.

La frase della settimana? “No animal lovers in Australia. No pets, just animals.”

Il primo giorno passato in un recinto di mucche è, infatti, un piccolo trauma.

L’obbiettivo è quello di farle entrare sei o sette alla volta in un recinto e poi in un passaggio strettissimo dove, schiacciate l’una sull’altra, non si possano muovere e possano essere vacinate con una siringa normalissima, infilata velocemente nella parte superiore del collo.

Il mastering delle mucche, come quello delle pecore e dei cavalli, segue regole molto semplici: stare sempre dietro agli animali e mantenerli compatti, quando si è raggiunto il numero di animali sufficienti mettersi davanti agli animali e farli tornare indietro. Ovviamente il primo giorno, buttato lì in mezzo con altre 12 persone in panico totale con la confusione che regna sovrana, tutto è molto più complicato.

“Come on, guys! Keep thinking! Stick to the instructions!”

Ovviamente le mucche non intuiscono sempre le tue intenzioni, o se le intuiscono a volte cercano di rifiutarsi di seguire i comandi. Così si devono usare le maniere forti. Bastonate sul di dietro e, per farle avanzare, una bella strizzata alla coda (puntualmente immersa nella cacca fresca fresca).  E’ stato un trauma vedere la violenza decisa usata da Craig su quelle bestie, ma dopo aver preso due bei calcioni da una vacca, i sensi di colpa sembrano passare molto in fretta.

La cosa un po’ più disgustosa all’inizio, però, è controllare l’età di una mucca, che si stabilisce in base alla sua dentatura. L’animale viene messo da solo in una piccola gabbia, infondo alla quale è posizionata una specie di ghigliottina orizzontale che viene chiusa al suo passaggio in modo da bloccare la testa. Dopo di che si mettono due belle ditone dentro al naso sudicio e con l’altra mano si fa una leggera pressione sul labbro inferiore in modo che la mucca, tendenzialmente seria e permalosa, possa finalmente e felicemente sorridere, mostrando tutti i suoi denti, o se è vecchia, quel che ne rimane.

Le pecore sono un po’ più facili (per lo meno non scalciano e non defecano e pisciano liberamente).  Il problema è che sono molto attaccate al gregge, e per prenderne una e separarla dai suoi “amici” bisogna ingaggiare una lotta tipo wrestling, agganciando le mani sotto al loro collo e le gambe al corpo e spingerle a fatica, mentre belano e si dimenano come pesci fuori dall’acqua, nella stalla. Una volta lì, poi, vanno ribaltate e messe sedute per la tosatura. Anche lì, viva la violenza! Bisogna posizionarsi sul lato della pecora prenderle il muso e fargli ruotare la testa di 180 gradi, in modo che la povera bestia, se non vuole rompersi il collo, deve lasciarsi andare per terra. Poi la si solleva per le piccole zampine anteriori, facendo bene attenzione a tenere la testa il più dritta possibile per evitare che scalcino.

In genere, però, nelle centinaia di immensi recinti in cui è suddivisa la proprietà, gli animali vengono condotti o su motociclette da cross o su quad oppure su un cavallo.

Finalmente ho avuto una motocicletta a marce per il mio compleanno! E nonostante il primo giorno mi sia quasi andato a schiantare contro un albero, devo dire che me la sono cavata piuttosto bene. Ma mai come sul cavallo.

Little Jonny, questo il nome del “ronzino” che mi hanno assegnato, sembrava uno dei più facili e mansueti, soprattutto per le sue dimensioni non troppo grandi, anche se il suo passato nelle corse ippiche, abituato a cavalcare a grande velocità verso il traguardo, era ancora un ricordo vivo della sua memoria.

Non avevo mai galoppato prima su un cavallo, forse neanche andato al trotto (LJ in quello era pessimo, ha distrutto la schiena a tutti quelli che l’anno cavalcato), ma dopo dieci minuti con sorpresa mia e di tutti ero già lì che galoppavo abbastanza tranquillamente nel paddock. Così sono passato subito alla fase successiva: il mastering su un cavallo. Nonostante il mal di schiena causato dallo sballonzolare lentamente sul terreno scosceso al passo con le lentissime mucche, l’andata è stata assolutamente senza problemi. Condotti gli animali in un recinto a quasi cinque-sei chilometri dal punto di partenza, bisognava soltanto tornare indietro.

E Little Jonny odia arrivare secondo. Famoso per essere difficile da fermare quando parte in quinta, si è catapultato a proiettile non appena aperto il primo gate con me sopra che urlavo “FUUUUUUUUUUUUUCK!!!!”.  Scena molto divertente da vedere da fuori. Finché dopo un bel po’, forse illuminato da una intuizione derivata da qualche grado di parentela equinofilo, tenendo le redini ben strette, le ho spostate violentemente verso sinistra riuscendo a far virare il cavallo che, dopo aver decelerato per la curva, è stato più facile da fermare.

 

Qualunque cosa succedesse di giorno però, ogni sera ci si ritrovava tutti insieme attorno ad un bellissimo falò, sotto una coperta di stelle, qualcuna anche cadente, con il fumo grigio che saliva in alto confondendosi con quello bianco e lontanissimo della via Lattea.

E tra una birra e l’altra, tra una chiacchera e l’altra, si rimaneva spesso incantanti nel guardare quei tronchi di legno bruciare, veloci come il tempo, lasciando alla fine della settimana solo una montagna di cenere. Ne ho presa un pochettino e mi sono sporcato le mani, per ricordarmi che tutto passa velocemente e che ogni legno va bruciato fino infondo per godere pienamente del suo calore, perché le notti a cinque gradi dell’outback sono veramente fredde.

 

Ora sono a lavorare in una bellissima fattoria più verso la civiltà, a Scone, a “sole” tre ore e mezzo da Sydney, proprio all’inizio dell’outback. Sono per ora tre settimane in cui il lavoro è quello di marchiare le pecore. Poi non so se mi terranno qui per un po’ di più o mi lasceranno andare. Dipende da quanto sarò bravo o se ci sarà ancora del lavoro in cui io posso essere utile. Ma come dice Nils, un mio compagno di corso tedesco, “ Never make a plan in Australia”.

La fattoria si chiama Rossgole, e occupa una immensa collina in cima alla quale c’è la villa-reggia di Frank, il padrone della tenuta, e della moglie inglese. E’ sicuramente uno dei posti più belli in cui io potessi capitare. Ho la mia macchina (con il volante rigorosamente a destra), la mia stanza, la mia cucina, e un paesaggio sterminato tutto intorno a me. Spero davvero di fare bene. Come andrà, lo racconterò prossimamente. Quando e dove non lo so ancora…

mercoledì 3 ottobre 2012

"no power, sorry!"

Ci si può aspettare davvero di tutto qui a Sydney, l'avevo già detto.
Ma di arrivare stamattina al Caffè Amici e trovare che una ventina di grattacieli  (tra cui quello del nostro bar) siano senza corrente dalle dieci della sera prima, e molti con il generatore d'emergenza pure fuori uso, è proprio il top. Guasto riparato senza troppi worries dopo 12 ore, come se fosse lo scaldabagno di una casa sfigata in collina lontana anni luce dalla civiltà.

Così come le nonne di una volta, nella luce delle candele del bar chiuso, eccomi lì bello alla finestra a tagliare cipolle e fagiolini, sognando una giornata a 28 gradi bella tranquilla sulla spiaggia di Bondi Beach. E invece alle 9 la luce torna e la gente in astinenza di caffeina si precipita all'assalto della macchina del caffè... and that's it!

Sono giornate un po' malinconiche, le ultime qua a Sydney. Oggi sono andato a licenziarmi dal Pastizzi e Venerdì alle 5 finirò anche al Caffè Amici. Domenica mattina, partenza alle 10.30 del mattino per mete sconosciute. Tra l'altro proprio nel giorno in cui qui c'è il cambio dell'ora tra l'estate e l'inverno. Qui hanno deciso di farla a inizio Ottobre, giusto perché dall'altra parte del mondo è lecito fare un po' come cavolo ci pare e piace.

Per spiegare meglio però questa sensazione e questo mio viaggio, però, direi che la tenda sia il simbolo giusto. Diciamo una tenda di quelle vecchissime da campeggio. Fai una fatica mortale a montarle, a trovare come a metterla in piedi, non farla ballare al vento. E ci stai lì due-tre ore, anche se sai che l'indomani dovrai smontarla ancora e rismontarla ancora. Ma sai che devi fare le cose bene e lavorare al massimo perché tu possa passare una buona notte e addormentarti felice. Finalmente era tutto bello in piedi, ma è già l'alba e le regole dell'albergo dicono che bisogna lasciare la piazzola subito dopo colazione.

Forse, per i prossimi camping, basterà solo impratichirsi un po' di più, ma sicuramente per un po' di tempo ancora avrò bisogno del libretto d'istruzioni...