sabato 15 settembre 2012

la mia domanda


Proviamo a scrivere qualcosa con quello che è rimasto delle mie mani. Dopo aver lavorato per 30 ore sulle 48 disponibili in due giorni, con sapone, acqua, coltelli e fornelli, sono qui, immerso in un mare di arnica, spalmata tipo burro,con quattro scottature, due tagli e la pelle tutta screpolata che si disfa ad ogni piccolo movimento.

A farmi compagnia, qui alle 5 e mezza di mattina c'è comunque sempre il Milan. (Oddio quest'anno non una gran bella compagnia a dire il vero).
Pensando a tutte le imprecazioni e gli insulti che mi verrebbero da tirare, me ne viene in mente uno tipicamente italo-australiano.
Qui una delle catene di supermercati più grandi si chiama Coles, che all'australiana è pronunciato CULS. E quindi quando uno va al supermercato va anche un po' "in Coles!"

Lavorare fino alle 3 e mezza di notte in Oxford Street, come è stato tre Venerdì fa, è sempre divertentissimo, soprattutto con la mattacchiona collega australiana. Cantante Jazz, da quello che dice lei, è la tipica ragazza "paesanotta" che vien dalle montagne selvagge dell'Australia.
Non so perché nei suoi modi di fare noto molte somiglianze con una grande cantante Jazz italiana, e a volte guardandola lavorare non mi stupirei se piombasse in cucina e in perfetto dialetto iniziasse a urlare "Il cliente ha rimandato indietro il piatto perchè faceva cacare a spruzzo!". Qualcuno sa di cosa parlo: le cantanti di Jazz, di quello vero e sanguigno, sono una razza worldwide.

Ma arriviamo alla parte seria della questione.

Spesso, e ancora oggi è capitato tre o quattro volte, nella confusione delle mie mille domande, aspettative, problemi, mi fermo e mi chiedo come e perchè sono arrivato qui, e mi accorgo di come le cose quando iniziano a prendere velocità, come le valanghe travolgono tutto il passato facendone quasi una massa indistinta. (qui un mio caro amico che oggi compiva gli anni aggiungerebbe "povero masi!")

L'antefatto è accaduto circa una settimana fa, quando in una rara giornata di tranquillità a casa ero sul divano a parlare con Rahul, il mio coinquilino indiano, in Australia come poliziotto. Parlando della cultura del suo paese e chiedendogli indicazioni sugli ashram, si è finiti a fare discorsi esistenziali parabolici (in inglese è veramente una mega masturbazione mentale), ma quando lui mi chiedeva che cosa io stessi cercando non riuscivo a rispondere qualcosa di univoco e sensato.
"Devi rimpicciolire la domanda, averne una più precisa e sforzarti per rispondere solo a quella per il momento"

Oggi camminando in George Street, mi sono imbattuto nella Chiesa di San Giuseppe, strano ma vero, e un po' spinto dalla curiosità di una messa in inglese, un po' perché a messa non ci vado da una vita, ho deciso (o meglio "ho sentito") di fermarmi per la funzione.
C'era un passo del Vangelo molto famoso. Gesù si ricolte ai discepoli e gli disse 

"Who do you think I am?"

Quella frase ha colpito nel segno. E non solo perché è vero è una domanda rivolta a qualcuno da anni in piena crisi di fede, ma perché rivolta a qualcuno che  è in crisi di identità. Sia Dio che me stesso sono sembrati farmi la stessa domanda contemporaneamente: "Chi pensi che io sia?"

"La strada dentro se stessi è la strada verso Dio", dice il guru Osho al suo allievo Khrishnananda che lo interroga. La domanda così risulta unica, passa da due a una sola e nello stesso tempo delinea da sola il percorso della sua risposta.

La prima tappa di ogni viaggio è costituìta dalla consapevolezza. Fino ad ora, in effetti, avevo solo sentito la necessità di partire, ma era una sensazione indistinta. Forse aveva ragione il mio coinquilino: una volta trovata la tua domanda hai la tua meta e tutto sembra più chiaro.
Sydney è la consapevolezza.

Ora bisogna "solo" trovare il come rispondere a questa domanda.
Osho dice "Abbandona tutti gli sforzi e godi di te stesso, Dio ti troverà"

Beh forse, nonostante il sentiero sia lunghissimo, devo iniziare con il cambiare velocemente stile di vita!

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